Prendevano "alla gola" gli immigrati: rete per vendergli falsi permessi di soggiorno a duemila euro

Finiscono a giudizio un commerclalista e alcuni imprenditori: la denuncia da una industriale che spezza il "gioco". Fissata l'udienza preliminare

Dietro ai permessi di soggiorno una rete per i falsi permessi

Dietro ai permessi di soggiorno una rete per i falsi permessi

Arezzo, 16 settembre 2015 - Creavano falsi rapporti di lavoro e producevano anche fittizie certificazioni di idoneità abitative per ottenere permessi di soggiorno a favore di extracomunitari che, in cambio, versavano duemila euro all’organizzazione che operava a cavallo del Valdarno aretino e fiorentino: una trentina le persone denunciate, tra chi tirava le fila dell’organizzazione criminale, imprenditori e proprietari di appartamenti. A far saltare il banco un’imprenditrice nel settore delle serigrafie, difesa dall’avvocato aretino Tiberio Baroni che, contattata dalla commercialista e dal marito si è invece rivolta ai carabinieri della compagnia di San Giovanni. I militari, con una complessa indagine, sono riusciti a ricostruire tutti i particolari del meccanismo andato avanti per anni a partire dal 2007 e fino al 2009: per i trenta denunciati a vario titolo il prossimo 13 novembre è fissata l’udienza preliminare del procedimento al tribunale di Arezzo. Al vertice della «rete» c’era una commercialista residente a Terranuova ma con studio a Figline, Teresa S. con al fianco il marito imprenditore Alberto R. anche lui a capo dell’organizzazione. In base agli atti dell’inchiesta marito e moglie facevano affidamento su un cittadino indiano residente in Valdarno, Ramesh S. che gli presentava gli extracomunitari irregolari, in gran parte senegalesi e in alcuni casi pakistani, a cui procurare le documentazioni false per il permesso di soggiorno. L’organizzazione funzionava secondo un «canovaccio» già sperimentato in molte parti d’Italia. La commercialista e il marito contattavano a loro volta alcuni imprenditori compiacenti che fornivano certificazione del fatto che gli stranieri lavorassero nella loro azienda. In realtà non c’era alcun rapporto di dipendenza ma il documento serviva agli africani e agli asiatici (oltre una ventina secondo le indagini dell’Arma) per ottenere il permesso di soggiorno. Coinvolti nell’inchiesta anche alcuni proprietari di appartamenti che fornivano a loro volta false dichiarazioni di idoneità abitative per ottenere il permesso. Come detto, sono state decine gli irregolari che hanno ottenuto il permesso di soggiorno pagando i duemila euro che poi i vari protagonisti del sodalizio criminale si spartivano secondo percentuali predefinite. Tutto è andato avanti finché tra gli imprenditori contattati per ottenere le false documentazioni non c’è stata una donna, titolare di una ditta di serigrafie, che invece che accettare di far parte del meccanismo, ha deciso invece di raccontare tutto ai carabinieri. Gli uomini della compagnia sangiovannese, al termine delle indagini, hanno denunciato trenta persone tra la provincia di Arezzo e quella di Firenze. Adesso la vicenda sarà rievocata in un’aula di tribunale. Colpisce il fatto che accanto a clandestini e disperati senza permesso di soggiorno ci siano anche imprenditori e professionisti che hanno pensato bene, in un momento di crisi economica, di approfittare di poveri stranieri in cerca di un «posto al sole» nel nostro Paese. Sul capo di imputazione Teresa S. e Alberto R. sono accusati di aver prodotto false certificazioni di lavoro per permessi di soggiorno in collaborazione con alcuni imprenditori e in alcuni casi senza che gli stessi fossero informati di quello che stava succedendo. ​di Federico D'Ascoli