Pd, qui non soffia vento di scissione: pochi seguaci per Bersani & c.

Max Dindalini pronto a ricandidarsi. Vignini: "Voglio restare ma aspetto il dibattito, tra Renzi e Rossi meglio il primo". Incerto l'ex fronte del no

MASSIMILIANO DINDALINI Il segretario provinciale del Pd parla della richiesta all’azienda sanitaria e al presidente di area vasta

MASSIMILIANO DINDALINI Il segretario provinciale del Pd parla della richiesta all’azienda sanitaria e al presidente di area vasta.

Arezzo, 15 febbraio 2017 - La scissione è un venticello, come la calunnia del Barbiere di Siviglia. Eh sì, a Roma rullano i tamburi del Pd che si spacca, con la sinistra che minaccia di fare un partito per conto suo, ma in periferia, almeno per ora, non si trova nessun esponente dell’arcipelago democrat che sia pronto ad associarsi alle dichiarazioni di fuoco di Bersani, D’Alema & C., nè tantomeno qualcuno che si dica disponibile a far le valige e abbandonare quanto resta del partitone di un tempo.

Certo, non sono tutte rose e fiori. Il disagio, inutile nasconderlo, c’è anche se resta sottotraccia. Un big del Pd che lunedì era alla direzione nazionale di Roma racconta delle telefonate ricevute da qualche dirigente poco renziano: «Se il congresso deve essere solo una conta dei numeri, che ci stiamo a fare dentro?».

E lo stesso segretario provinciale Max Dindalini, che renziano non è mai stato, spiega che a suo giudizio non serve «un congresso affrettato, da fare in due mesi, ma un percorso che rilanci il partito, anche dal punto di vista delle tesi politiche e programmatiche».

Lui, ad esempio, racconta di essersi riconosciuto «in toto» nel discorso del ministro Orlando, cioè di quel pezzo di sinistra che si è sfilato dalla maggioranza renziana. Vuol dire che Dindalini è diventato orlandiano? «No io sono dindaliniano, un indipendente».

Il fermento maggiore è quello del fronte del no al referendun, ma nemmeno lì c’è qualcuno che parla esplicitamente di scissione. «Io sono per restare - spiega l’ex sindaco di Cortona Andrea Vignini, che in autunno fu il portavoce dei dissidenti - ma dipende da come si farà il congresso. Se deve essere una cosa di corsa, entro la primavera, bè, faccio fatica a riconoscermici. Altra cosa se si va verso una discussione ampia su tutto quello che nel partito va cambiato, dalla Buona Scuola al Jobs Act. Col congresso in autunno non ci sarà nessuna scissione».

E tuttavia anche Vignini non ha affatto le idee chiare sugli schieramenti: «Sia chiaro, fra Renzi e il governatore Rossi che si candida, io scelgo Renzi». Un altro che ha votato no al referendum è stato l’ex segretario cittadino Andrea Lanzi, bersaniano d’acciaio ai tempi delle primarie di Renzi, ma pure lui confessa candidamente le sue incertezze: «Andarmene se ci sarà scissione? Non ci ho proprio pensato. Anzi, credo che alla fine il Pd rimarrà unito».

La vera questione è che, da queste parti, Bersani e i suoi sono generali senza esercito. Nel senso che la vecchia componente bersaniana si è andata progressivamente liquefacendo. Ora come ora non c’è nè un portavoce che faccia da guida nè una truppa pronta a seguirlo. Solo figure isolate. Come Andrea Modeo, che ha seguito i convegni di area nei mesi scorsi ma che ha anche votato sì, e Gilberto Dindalini, il presidente di Arezzo Casa che è più dalemiano di D’Alema.

Il tutto annegato nel mare di quella che resta (vedasi il referendum) una delle province più renziane d’Italia. Semmai, e Vignini si lamenta dell’aria di bonaccia che tira, si dovrà cominciare anche a parlare di congresso provinciale, invocato da mesi. La procedura è complessa: servono prima i congressi di circolo da fare insieme alle primarie nazionali. Difficile organizzarsi prima dell’estate o addirittura di ottobre. I renziani a occhio sono ancora l’area maggioritaria, ma la componente che fa capo allo stesso Massimiliano Dindalini e all’assessore regionale Vincenzo Ceccarelli, a sua volta non lontano da Rossi, ha una sua forza. Il segretario si dice a «a disposizione», come a dire che è pronto a ricandidarsi se glielo chiedono. Ma i colonelli di Renzi, dal deputato Marco Donati al consigliere regionale Lucia De Robertis e a Matteo Bracciali, cosa ne pensano?

di Salvatore Mannino