Dati, personaggi, reazioni: tutto sul supervoto di domenica

Maria Elena da regina emergente al capolinea. Il prof della Bocconi lanciatissimo. Il riscatto di Dindalini, la crescita di Ceccarelli l'assessore

Maria Elena Boschi (Imagoeconomica)

Maria Elena Boschi (Imagoeconomica)

Arezzo, 6 dicembre 2016 - «Non ci aspettavamo un risveglio così», scrive Maria Elena Boschi sulla sua pagina Facebook. Soprattutto, probabilmente, non si aspettava che la tradisse il suo paese, Laterina, il natio borgo selvaggio che l’aveva sempre difesa nell’annus horribilis di Banca Etruria e poi della riforma costituzionale sempre più contestata, di cui la Bella Giaguara è stata la madrina, sfociato nella domenica della Caporetto renzian-boschiana.

Ma la Fatina del governo, la ministra più popolare finchè non è incappata nelle disavventure del padre, ultimo vicepresidente della vecchia Bpel, è solo la vittima più illustre di una nottata in cui come al solito i Vip della politica salgono e scendono, a seconda di come vengono investiti dal risultato elettorale.

Chi teoricamente dovrebbe essere immune dai terremoti delle urne è un tecnico come Tommaso Nannicini, titolare della cabina di regia economica di Palazzo Chigi. Lui è un professore della Bocconi che non si è mai cimentato nè in referendum nè in elezioni e tuttavia anche all’economista montevarchino, figlio di Rolando, ex sindaco ed ex deputato, tocca di scendere da cavallo. Nel senso che le dimissioni del governo coinvolgono pure lui, sottosegretario alla presidenza del consiglio.

Renzi se lo porterà dietro al Pd, sarà coinvolto anche nel prossimo ministero, presumibilmente tecnico o di transizione, oppure se ne tornerà in cattedra a Milano? C’è poi, sempre in tema di cerchio magico renziano, il deputato Marco Donati, etichettato come boschiano di stretta osservanza. A stretto rigor di logica dovrebbe scendere, ma può portare all’ormai quasi ex premier il risultato di Arezzo, uno dei più brillanti d’Italia per il Sì, e anche quello del capoluogo (non sono più di una quindicina quelli che hanno votato a favore della riforma).

E poi dicono che sia ben ammanicato anche con lo stesso Renzi e con il sempre potente Luca Lotti. La vittoria del Sì in questa provincia è un asso che può giocarsi pure il segretario del Pd Massimiliano Dindalini.

Era arrivato all’appuntamento dopo un’estate difficile, in cui si era salvato a stento dalle batoste elettorali di giugno. Il risultato referendario lo rafforza, avrà le sue carte da giocarsi se e quando si arriverà al congresso del partito, anche se non è (forse proprio perchè non è) un renziano di stretta osservanza.

Così come immune dal fascino della rottamazione, ma anche dalle sirene bersaniane, è sempre rimasto il potentissimo assessore regionale ai trasporti Vincenzo Ceccarelli, un altro che difficilmente cade di sella. Sarà un caso ma il suo Casentino è il massimo serbatoio di schede per il Sì di tutta la provincia.

Sul fronte di centrodestra, cresce l’astro di Mario Agnelli, l’unico sindaco moderato che spunti la vittoria del No nel suo comune, a Castiglion Fiorentino.

Stabile, invece, il più potente dei colleghi, Alessandro Ghinelli che governa nel capoluogo. Non è riuscito a trascinare Arezzo città verso il No, ma non ne patirà conseguenze. Quanto ai grillini, potranno mettere in riscossione alle prime elezioni la cambiale accesa domenica.

Infine, la società civile del potere economico. Presidenti e direttori di categoria, da Andrea Fabianelli (industriali) a Franco Marinoni (Ascom) erano e restano indipendenti dagli scossoni della politica. Andrea Sereni, presidente della Camera di Commercio, è molto legato a Maria Elena Boschi, ma anche per lui non dovrebbero esserci conseguenze.

di Salvatore Mannino