Ballano sull’orlo del vulcano, ballano alla musica dell’orchestrina del Titanic, quasi fossero ignari che potrebbe esserci un iceberg dietro l’angolo. A danzare, intendiamo, è la classe dirigente aretina (politica e non solo) che con qualche lodevole eccezione sta affrontando la questione provincia con un’indifferenza fatta di qualche distratta dichiarazione (a volte tanto estemporanee da suscitare il sorriso) e un nullismo di fatto quello sì capace di impressionare.

La partita, per chi ancora non l’avesse capita, è terribilmente seria. In gioco non c’è solo la Provincia, intesa come ente (che ha meriti e demeriti, prevalenti i primi nel caso di un’istituzione che qui ancora, bene o male, funziona) ma l’identità di un territorio, la sua integrità e soprattutto il rango di una città (Arezzo) che potrebbe ancora essere capoluogo ma rischia anche di non esserlo più, con quello che ne consegue.

E mentre le nostre elites scelgono allegramente di andarsene al mare, gli altri non dormono affatto e occupano le posizioni. Ci sono già un paio di segnali inquietanti, forse passati un po’ sotto silenzio nel clima ferragostano. Innanzitutto che nella commissione nominata dal consiglio delle autonomie locali per ridisegnare territori e confini non ci sia neppure un aretino, fatta eccezione per Dario Locci, che però rappresenta solo se stesso.

E poi la mossa annessionistica del presidente del consiglio comunale di Firenze Giani che lancia apertamente la sua Opa ostile nei confronti dei comuni del Valdarno. Le nostre anime belle si cullano nell’illusione che i giochi non siano ancora cominciati. La battaglia la faremo nell’assemblea del consiglio per le autonomie locali, rassicura Roberto Vasai, presidente della Provincia che pure si è battuto (quasi da solo) per la salvezza non solo del suo ente ma anche del territorio in cui si esercita la sua giurisdizione.

L’impressione, ahinoi, è che quando si arriverà in assemblea peseranno assai le proposte della commissione ristretta, in cui, guarda caso, le aree forti della Toscana hanno già occupato i posti migliori (vedi Siena, con due rappresentanti). D’altronde, cosa ci si può aspettare quando gli altri mandano alla riunione preliminare i big (vedi sindaci e affini) e noi un paio di personaggi minori (sia detto con tutto il rispetto)? Dov’era Fanfani? E dov’era Vasai? Dove erano i consiglieri regionali? Nemmeno al famoso dibattito di Stia col presidente della Regione Enrico Rossi, visto che la questione provincia, annunciata dai tam tam della vigilia come un tema caldo si è ridotta a poche frasi svogliate.

Ma, sant’Iddio, che sperano i maggiorenti del Pd aretino (il Pdl in questa vicenda è quasi fuori dai giochi per mancanza di potere), forse che Rossi si rimangi da solo le sue esternazioni sull’area vasta della Toscana del sud? Che dire di un partito che non riesce a strappare al governatore un impegno neppure sul futuro capoluogo di questa eventuale area vasta, ruolo che per legge e importanza socio-economica spetterebbe ad Arezzo di diritto? Pensare che c’è almeno una doppia linea di difesa per evitare lo svilimento di questa città e di questo territorio.

La prima è salvare l’attuale provincia (intesa come ente e come territorio), magari arrotondando sui confini, come gli altri si preparano a fare, visto che i numeri non ci sono e non ci saranno (per pochi spiccioli, ma la linea dei numeri Istat al posto del censimento è patetica). L’altra è quella della fermezza nel rispetto dei diritti stabiliti per legge. Il che significa che se la macroprovincia s’ha fare (meglio di no), il capoluogo non può che essere nella città più popolosa, cioè questa, come dice il decreto.

Si sveglino politici ed élites socio-economiche prima che sia troppo tardi. E’ illusione sperare che siano gli altri a offrirci il futuro su un piatto d’argento, è illusione pensare che basti solo essere i più grandi e i più forti economicamente per guidare questo processo di riaggregazione. Il sonno della ragione genera mostri, quello delle classi dirigenti incapaci di difendere le prerogative del loro territorio porta invece dritto dritto a un ruolo subalterno.

Salvatore Mannino