Musulmani contro l’Isis: «Sono solo un gruppo di esaltati»

Com’è cambiata la vita nella comunità musulmana dopo Parigi

Musulmani d'Arezzo

Musulmani d'Arezzo

Arezzo, 26 novembre 2015 - «Sono Gentaglia, criminali. Duecentomila esaltati non possono rappresentare un miliardo e mezzo di persone». Non usano mezzi termini Hatice e Meryem Akkaya (nella foto), due donne di origine turca, musulmane. Da anni hanno aperto e gestiscono ad Arezzo l’Istanbul Kebab, il locale dove preparano e servono specialità turche. Le due sorelle condannano senza appello l’operato dell’Isis e rivendicano con orgoglio il loro essere musulmane. Perché, spiegano. «Il Corano è un libro di pace e non predica la sottomissione e la distruzione di nessuno. Né di persone di altre religioni, né delle donne. Noi non portiamo il velo e lavoriamo tutto il giorno. Siccome siamo religiose, se il nostro credo ci imponesse di fare diversamente, lo faremmo. Ma non è così. C’è tanta ignoranza a proposito dell’Islam. Si confonde la religione con le tradizioni e la cultura. Da nessuna parte nel Corano c’è scritto che si possa ammazzare o sottomettere l’altro nel nome di Dio».

Nei giorni dopo Parigi per le due donne non è cambiato molto, se non il dolore di vedere accostato il loro credo a quelle stragi. A proposito di integrazione, le due donne però tengono a specificare una cosa: «È giusto rispettare le leggi del Paese in cui si abita. Ad esempio, qui non si può andare in giro con il burqua e bisogna rispettarlo. Se a qualcuno non va bene, può andare da qualche altra parte».

Anche Zouheir Sobhy, proprietario del Caffè de Tanger prende le distanze da chi uccide in nome di Allah e anzi rincara la dose: «Se sapessi di qualche musulmano che ha a che fare con il terrorismo andrei di persona in Questura a denunciarlo. Questi non sono islamici, il loro modo di vivere non c’entra niente con la fede musulmana. Si drogano, ammazzano, fanno tutto ciò che non si deve fare. La nostra è una religione di pace. Dopo Parigi qui al locale ho notato che le donne con il velo vengono guardate con più sospetto, anche mia moglie lo porta. Ma quello di cui la gente ha paura non è il vero Islam, è un gruppo di esaltati».

Tuli invece ha 21 anni, è bengalese. Anche lei non porta il velo ma ammette: «Da quando ci sono stati gli attentati il clima si è fatto più pesante. Non dico che ci siano discriminazioni ma sicuramente veniamo guardati con più diffidenza, siamo nella condizione di dover spiegare quale è il nostro credo, perché in molti pensano che sia la nostra religione a essere sbagliata ma non è così. Nessuna religione del mondo parla di far male ad altre persone. L’Islam non fa eccezione». Rachida ha 31 anni, è marocchina e vive in Italia da 20 anni. Lei porta il velo e spiega: «Quando ti presenti con la testa coperta c’è sempre qualcuno che ti guarda male ma devo dire che negli ultimi tempi, a dispetto delle apparenze, le cose sono migliorate, forse perché è tanto tempo che sono qui. Però chi non è ignorante sa che la religione musulmana non ha niente a che fare con il terrorismo».