Mercoledì 24 Aprile 2024

La “decrescita felice” di Serge Latouche. Il filosofo francese ricevuto in sala di Giunta

“Un incontro - Gasperini - ricco di significati e di provocazione visto che il contenuto del pensiero di Latouche non è certamente dei più ortodossi"

Latouche

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Arezzo, 21 gennaio 2015 - “Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile l’incontro con Serge Latouche”. Sono state le parole d’esordio del reggente Stefano Gasperini nell’introdurre in sala di Giunta il saluto ufficiale della città al celebre filosofo francese ospite ad Arezzo nell’ambito della rassegna Aritmie. “Un incontro - ha proseguito Gasperini - ricco di significati e di provocazione visto che il contenuto del pensiero di Latouche non è certamente dei più ortodossi. Tuttavia, lo reputo un pensiero a misura d’uomo e per questo ben dentro la nostra tradizione culturale occidentale”. Serge Latouche, professore emerito di Scienze economiche all’Università di Paris-Sud, uno degli animatori della Revue du MAUSS (Movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali), autore degli ormai classici “Breve trattato sulla decrescita serena” e “La scommessa della decrescita”.

“Devo dire che l’incontro di stamani conferma il famoso detto: nessuno è profeta in patria. Non sempre, infatti, sono accolto così favorevolmente in Francia. I governanti o i sindaci non provano simpatia per le mie tesi: stop grandi opere, basta inceneritori, no alla tav. Ma sono tesi che partono da un assunto che sanno tutti: la crescita conosciuta nel trentennio d’oro conclusosi è una parentesi finita. Un filosofo francese, Jean-Pierre Dupuy, in un libro che si intitola ‘Il catastrofismo illuminato’ ha chiarito bene il concetto: nonostante sappiamo bene che il pianeta non può sopportare questa crescita, non diamo ascolto a ciò di cui siamo consapevoli. Bisogna pensare di ritrovare la giusta frugalità, che vuol dire senso del limite, fermarsi quando è in ballo la sopravvivenza dell’ambiente. Non possiamo perseguire una crescita infinita in un pianeta finito. Il problema è che i nostri governi vedono al massimo in una prospettiva di tre mesi, per questo servono gli intellettuali: a fare guardare più lontano”.

“Serge Latouche, come anno scorso Zygmunt Bauman - ha concluso l’assessore alla cultura Pasquale Macrì - è l’evento clou di questa edizione di Aritmie. Ringrazio il professor Latouche perché porta in città un pensiero originale, un pensiero che fa riflettere e che rimanda alla valutazione di Karl Popper sul Novecento quando, a detta del grande epistemologo viennese, tutti gli orologi si sono sciolti in un cielo di nuvole. Noi dobbiamo governare queste nuvole, è ora di diventare meteorologi”. E a proposito di Aritmie, erano presenti all’incontro Giuseppe Caroti della Fraternità dei Laici, Giulio Firpo dell’Accademia Petrarca, Valeria Gudini della Fondazione Guido d’Arezzo e Simone Zacchini del dipartimento aretino di scienze della formazione, scienze umane e della comunicazione interculturale, partner della rassegna. ​LATOUCHE Latouche ha elaborato un’analisi critica dell’economia occidentale, che sarebbe fatalmente destinata al collasso, e ha articolato una prospettiva economica alternativa. Latouche dichiara di essere un “obiettore di crescita”, ossia di opporsi a quella che definisce “la religione imperante della crescita”, cultura che costringe a ricercare, in modo irrazionale e distruttivo, uno sviluppo economico continuo e fine a se stesso. L’economia, così intesa, riesce a funzionare solamente attraverso un aumento continuo del Pil, comportandosi “come un gigante che non è in grado di stare in equilibrio se non continuando a correre, ma così facendo schiaccia tutto ciò che incontra sul suo percorso”. Per Latouche un sistema di questo tipo è del tutto insostenibile sotto il profilo ecologico e sociale perché destinato a scontrarsi con una limitatezza di risorse con la quale, ancora, rifiuta di mettersi a confronto. ​Oltre a ciò, questo sistema presenta un’altra fondamentale contraddizione: pur offrendo all’uomo (quello occidentale) ogni agio e comfort, lo condanna a uno stile di vita frenetico, di perenne insoddisfazione e tale da produrre una società malata di ricchezza, impregnata di disuguaglianze ed ingiustizie. La critica di Latouche alla società della crescita si estende a qualsiasi proposta che, con qualche mistificazione in più, non vada verso una vera e propria inversione di tendenza; così viene smascherato il concetto di “sviluppo sostenibile”, espressione contraddittoria con la quale si rifiuta di uscire da un’economia di crescita, nella convinzione che da essa dipenda il benessere dei popoli. La decrescita auspicata da Latouche, invece, costituisce un’alternativa non solo economica, ma anche esistenziale, che permetterà di uscire radicalmente da questo distruttivo sistema. Non casualmente l’espressione con cui essa è tipicamente presentata è proprio “decrescita serena”. L’intuizione della decrescita, infatti, vuole un arretramento del Pil in favore di un aumento di benessere: benessere inteso da Latouche come un bien vivre che tiene conto di aspetti immateriali e normalmente “dimenticati”, quali la cultura, il tempo libero, le relazioni umane