La storia dei baraccati dell'Acquedotto Felice di Roma nel diario finalista del Premio Pieve e il commento di Rita Borsellino

Presentazione dei diari finalisti del Premio Pieve 2015 in anteprima il 4 settembre nel giardino pensile della Provincia e cerimonia a Pieve dal 18 al 20 settembre

rita borsellino

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AREZZO 1 settembre 2015 -  La storia di una famiglia vissuta ai margini di Roma, una baracca costruita sotto uno degli archi dell'acquedotto Felice, una donna che ha dovuto accudire un marito malato e quattro figli e lavorare per tutti. Questo il diario di Giuseppina Pendenza, uno degli otto diari finalisti in gara per il Premio Pieve 2015 che verranno presentati ad Arezzo in anteoprina il 4 settembre alle 17,30 nel giardino pensile del palazzo della Provincia dal conduttore radiofonico di Radio 2 Matteo Caccia e dal direttore de La Nazione Pier Francesco De Robertis in vista della cerimonia del Premio Pieve che si terrà dal 18 al 20 settembre a Pieve Santo Stefano che vedrà lo scrittore Carlo Lucarelli ricevere il premio "Città del diario". E sul valore dell'Archivio diaristico ecco l'intervento di Rita Borsellino premiata anche lei nel 2007

RITA BORSELLINO: "Ho cominciato a guardare con attenzione alla realtà dell’Archivio dei diari da quando Antonina Azoti (autrice di Ad alta voce, Terre di Mezzo, Milano, 2005, ndr) ha vinto il Premio Pieve, nel 2004. Conoscevo da tempo la dolorosa storia di Antonina e di suo padre Nicolò, sindacalista impegnato nella difesa dei diritti dei braccianti ucciso dalla mafia. Quando nella vita accadono certe cose è un po’ come se si diventasse parenti, anche perché certe cose possono essere capite fino in fondo soltanto da chi le ha vissute sulla propria pelle. Ma possono e devono essere portate all’attenzione del pubblico più vasto possibile, in una maniera rispettosa e corretta. Iniziative come quella alimentata dalla comunità di Pieve Santo Stefano hanno la capacità offrire un grande contributo in questo senso. Con la figura e il ricordo di mio fratello Paolo, ho cercato di raggiungere obiettivi analoghi a quelli che persegue l’Archivio. Da quando è stato ucciso ho deciso di fare il possibile affinché continuasse a vivere nella memoria delle persone, soprattutto dei più giovani. Per fare in modo che potessero appropriarsi, conoscendolo, anche dei suoi sogni, delle sue speranze, della sua capacità di guardare al futuro. A partire da quel 19 luglio 1992 per me è iniziata una vita diversa ma soprattutto sono cambiata io, il mio modo di comportarmi, rapportarmi e relazionarmi con gli altri. Posso dire che da quel giorno conservo un diario che non ho mai scritto, ma che ho vissuto. Custodisco un tesoro di ricordi delle esperienze che ho vissuto, ho accumulato tutti i biglietti aerei dei miei viaggi, un numero incredibile di lettere e fax che ho ricevuto, tantissimi biglietti dei bambini delle scuole, che mi hanno scritto per pormi domande di ogni genere e testimoniarmi la loro vicinanza. Un giorno, come se fosse un diario, proverò a riordinare questo patrimonio straordinario, che testimonia un periodo importante delle mia vita ma soprattutto la mia voglia di contribuire a cambiare questo Paese".

IL DIARIO DI GIUSEPPINA PENDENZA "L'IMPRESA DI GIUSEPPINA" AUTOBIOGRAFIA 1936-1993

«SE GUARDO indietro, vedo solo lunghi anni scanditi dalla fatica di vivere». Soltanto a ottant’anni si ferma per guardare la sua vita passata a tirare su da sola un’intera famiglia, marito compreso sposato quasi per forza e troppo malandato per lavorare. Una storia emblematica, una storia per raccontarle tutte, quelle di tante famiglie del dopoguerra ai margini della vita sociale, immigrati dalle regioni più povere, arrivate nella capitale senza una lira ma con tante speranze, e finite a vivere nelle baracche ricavate sotto gli archi dell’acquedotto Felice di Roma. Una vita di stenti, con i figli e un marito da mantenere. E Giuseppina Pendenza, nata nel 1936 a Tagliacozzo in provincia de L’Aquila, le spalle grosse per sostenere tutto quel peso se le è fatte per forza. Poi a ottant’anni, nel 1993, ha voluto scaricarlo in un diario che l’Archivio di Pieve ha scelto fra gli otto finalisti del Premio dei diari intitolandolo «L’impresa di Giuseppina». Storie dei finalisti che raccontiamo in queste pagine e che verranno presentate il 4 settembre in anteprima ad Arezzo nel giardino pensile della Provincia alle 17,30 in attesa del Premio Pieve che si terrà dal 18 al 20 settembre a Pieve Santo Stefano. GIUSEPPINA non crede ancora alla forza che ha avuto, all’impresa che ha compiuto, e scrive nel suo diario: «Come ho fatto ad avere sulle spalle tutta una famiglia, un marito che non stava bene, i problemi di un tetto per me e per i bambini, i problemi di lavoro e di profonda incertezza. Non chiedetemi come ho fatto a superare tutte le prove che la vita mi ha posto davanti, non so rispondere a queste domande, so soltanto che l’ho fatto. I miei figli sono cresciuti bene, hanno studiato, lavorano e si sono costruiti una famiglia». I racconti di Giuseppina iniziano in Abruzzo, parlano della quotidianità rurale, del lavoro nei campi, della cura della casa, fino a quando i genitori la costringono a trasferirsi a Roma per lavorare come domestica. Ha solo 12 anni, ma la legge della povertà lo impone. La bambina subisce lo sradicamento dalla propria terra e i maltrattamenti delle famiglie dove presta servizio. Cresce in fretta, ma il peggio deve ancora venire. A 19 ANNI il padre le combina un matrimonio con Raimondo, un giovane del paese, disoccupato e debole di carattere. La sera stessa delle nozze le cognate la avvertono: «tu hai voluto sposare a nostro fratello? Ed ora vedrai come morirete di fame perché lui non ha mai lavorato in vita sua». Si traferiscono a Roma, nascono quattro figli, vanno a vivere sotto un arco dell’Acquedotto Felice, una delle tante baraccopoli spuntate nelle periferie romane, senza acqua, senza fogne, nell’umidità. E’ Giuseppina a mantenere tutti: «Andavo a stirare alle cinque di mattina da una signora che mi aveva dato la chiave della sua casa ed io stiravo mentre la sua famiglia dormiva. Poi andavo a fare qualche bucato, poi le pulizie in un’altra casa, senza contare il lavoro di casa mia, ovvero cucinare, pulire e fare bucati perché la lavatrice non esisteva a quei tempi». Lavoro, lavoro, lavoro, un aiuto provviodenziale da un’amica e il sostegno della madre pertmetteranno a Giuseppina di rialzare la testa e ad aprire un piccolo negozio di casalinghi. Quando finalmente tutto sembra prendere la strada della tranquillità il marito si ammala di un tumore e muore. Un nuovo colpo, ma Giuseppina è abitata a rimboccarsi le maniche, reagisce, continua a occuparsi dei figli finché non li sistema. Una storia di ieri che oggi stiamo rivivendo, con altre facce, con altre genti.