La "Città dei Diari" finisce sul New York Times

Tutino credeva che ognuno di noi è parte di un gruppo e che tutti assieme costruiamo la storia", racconta al quotidiano americano Loretta Veri, ex responsabile del museo a proposito dell'intento che ha ispirato il fondatore, morto tre anni fa

Pieve Santo Stefano

Pieve Santo Stefano

Arezzo, 21 agosto 2014 - Anche il New York Times attratto da Pieve Santo Stefano e dai suoi 7.000 diari personali non di artisti o scrittori famosi, bensì di gente comune. 

Fondato nel 1984 da Saverio Tutino - giornalista e a sua volta "diarista" - l'archivio raccoglie testimonianze redatte per lo più nel 1900 ma anche nel 1800. Alcune scritte in italiano, altre in dialetto, a volte molto stretto. Fatto che ha reso complicato ai curatori il lavoro di lettura e trascrizione.

"Tutino credeva che ognuno di noi è parte di un gruppo e che tutti assieme costruiamo la storia", racconta al quotidiano americano Loretta Veri, ex responsabile del museo a proposito dell'intento che ha ispirato il fondatore, morto tre anni fa. "La sua idea di democrazia - ispirata a ideali politici di sinistra - era di dare voce alle persone comuni, di conferire alle loro vite la dignità che meritano", dichiara invece l'attuale direttore Natalia Cangi. Tra i diari più interessanti quello di Clelia Marchi, contadina mantovana nata agli inizi del '900 che nel 1984, all'età di 72 anni, cominciò a scrivere in dialetto la sua vita su un lenzuolo bianco. Due anni dopo lo consegnò lei stessa all'archivio ed ora i curatori lo considerano la loro "laica sindone".

O come le pagine di Orlando Orlandi Posti, partigiano durante la Resistenza. Dopo essere stato catturato dai nazisti nel febbraio del 1944, Orlandi cominciò a scrivere dei biglietti per lo più indirizzati ai parenti e alla fidanzata, ma anche ad alcuni compagni per avvisarli di una imminente retata dei soldati tedeschi. Una corrispondenza clandestina che si interruppe sei mesi dopo l'arresto, quando Orlandi divenne uno dei 335 italiani uccisi dai tedeschi nelle Fosse Ardeatine il 3 marzo del 1944. Questi pezzi di carta - che Orlandi riusciva a far uscire dal carcere arrotolandoli nel colletto delle camicie destinate alla lavanderia - sono ora conservati a Pieve Santo Stefano come commovente testimonianza personale e storica.

Ma l'archivio non raccoglie solo il passato. Le sue porte sono sempre aperte per tutti coloro che vogliono portare lì i loro diari. Non solo. Ogni settembre si tiene un concorso che premia gli autori delle memorie più interessanti con la pubblicazione. E le iscrizioni sono aperte.