Katia, il cerchio si stringe intorno a tre centri: Sansepolcro, San Giustino e Selci

E' l'area dei contatti della ragazza riportati nell'agendina. Lo spazio identificato per il delitto va dalla mezzanotte a poco dopo le 3. Lei aveva lasciato la borsetta nella sua macchina

Katia Dell'Omarino

Katia Dell'Omarino

Arezzo, 24 luglio 2016 - Ormai c 'è un cerchio chiaro intorno al delitto di Kiara Dell'Omarino. Una fascia di territorio ristretta, al cui interno si nasconde l'assassino. Secondo gli inquirenti i potenziali sospetti si concentrerebbero tutti in tre centri:  Sansepolcro, San Giustino e Selci. E' molto improbabile, secondo chi sta conducendo le indagini, che il nome o il cognome possano andare molto lontano da qui. Da qui la sequela delle persone che ogni giorno vengonio sentite nella sede della tenenza di Sansepolcro. Una "lista" in fondo suggerita proprio dalla ragazza uccisa, scritta di suo pugno nell’agendina. 

Proseguono le indagini sul delitto di Chiara. La forbice tra un epilogo ravvicinato e uno più diluito nel tempo si allarga e si restringe di giorno in giorno.  Al momento, più ipotesi restano in piedi. Anche quella secondo cui al momento dell’uccisione potrebbe esservi stata una seconda persona in compagnia dell’assassino? Poco probabile, secondo gli inquirenti. Già, l’assassino: questo misterioso «signore» si porta sulla coscienza da 11 giorni il peso di un delitto ma i carabinieri potrebbero stringere il cerchio.

Per ora, l’intenso lavoro di indagine ha portato una settantina di persone nei locali della Tenenza ma il numero è destinato a salire e a superare i cento, essendo molteplici le conoscenze di Katia. Tutti sono stati interrogati dai militari in attesa che dall’autopsia possa spuntare un profilo genetico.Un vero e proprio setaccio di massa: uno dopo l'altro stanno passandol dagli uffici quanti facevano parte dei contatti della donna uccisa. In particolare dell'agenda cartacea, quella che usava di più.

Slitta di qualche giorno l’atteso esito del dna – che possiamo ribattezzare di «ignoto uno» – col quale gli inquirenti potrebbero arrivare all’identificazione dell’assassino di Katia Dell’Omarino. Secondo le ultime indiscrezioni, infatti, i risultati genetici dei campioni prelevati durante l’autopsia dal corpo della quarantenne si protrarranno fino anche all’inizio di agosto.

La caccia al killer, dunque continua, con novità comunque non di poco conto emerse nella giornata di ieri. La borsa rimasta nel baule dell’auto e le chiavi dell’auto ritrovate vicino al cadavere, in quella scarpata che conduce al greto del torrente Afra. La sensazione è che fra Katia e il suo assassino, in quella tragica notte del 12 luglio, il contatto dovesse essere soltanto temporaneo, pur se i familiari hanno affermato che la giovane spesso lasciava la borsa in auto quando si allontanava per breve tempo.

Tutti elementi, comunque, che sono stati analizzati assieme all’avvocato Anna Boncompagni, legale della famiglia Dell’Omarino, che tiene a precisare un altro particolare: «A proposito dei rapporti fra Katia e un 50enne, non ci sono elementi concreti almeno per gli inquirenti fino a quando non saranno eventualmente i risultati dell’autopsia e le tracce di dna rilevate a indirizzare il lavoro investigativo in una precisa direzione».

Un altro particolare riguarda la telefonata del fratello Paolo intorno alle 5 di mattina, dal momento che la madre Rita non aveva visto rientrare la figlia e che quindi lo aveva chiamato preoccupata: ebbene, a quell’ora il telefono di Katia non squillava più. Era quindi già spento. Evidentemente, c’era chi si era premurato di farlo adeguatamente sparire: prova ne sia che, a dieci giorni esatti di distanza dal delitto, non è stato ancora ritrovato.

«Sulla base delle indicazioni e delle testimonianze in nostro possesso – aggiunge l’avvocato Boncompagni – si può collocare l’uccisione di Katia nell’arco temporale che va dalla mezzanotte e mezza fino alle 3 e mezza. Stiamo solo attendendo di conoscere il profilo genetico che ci possa condurre sulle tracce dell’autore di questo delitto». Intanto, a complicare il lavoro dei carabinieri della Tenenza biturgense, dei colleghi del nucleo operativo del Comando provinciale e della Procura di Arezzo vi sono le scarse tracce ricavate dai filmati delle telecamere, che avrebbero potuto fornire qualche interessante dritta: anche in questo caso, come per ciò che riguarda tante altre situazioni verificatesi in passato, il mancato funzionamento dell’impianto di videosorveglianza anche di Porta Romana si sta rivelando un handicap; strumenti posizionati da oramai 8 anni senza essere di fatto mai entrati in funzione.