I 250 mila euro in nero di papà Boschi: la vera storia. Due i fascicoli aperti da Rossi

Tre i reati via via contestati., E come si arriva all'archiviazione dell'ultimo, l'evasione fiscale: non c'era più la soglia penale. Pm Rossi: il Csm frena sull'archiviazione del caso; Bufera papà Boschi: vendita in nero di un avilla e maxi-multa

Pierluigi Boschi

Pierluigi Boschi

Arezzo, 23 gennaio 2016 - Al Procuratore capo Roberto Rossi l’inchiesta a più mani su Pierluigi Boschi è già costata un supplemento istruttorio da parte del Csm, che ha chiesto alla procura generale le carte sulla base delle quali il padre del ministro, già vicepresidente di Banca Etruria, è stato indagato in successione per turbativa d’asta, estorsione e infine evasione fiscale. Tutte accuse, peraltro, archiviate una dopo l’altra.

I passaggi di questa indagine?. Eccoli. Con un punto fermo: nel corso del procedimento Boschi e Rossi mai si sono conosciuti di persona, come il magistrato ha scritto nella lettera inviata al Csm. Nessun interrogatorio, nessun atto istruttorio che abbia visto i due faccia a faccia. Tutto per via documentale. Si parte il 29 gennaio 2010, dopo un esposto in procura sulla cessione della fattoria di Dorna dall’università di Firenze alla società Tenuta di Dorna (controllata da Boschi e dal socio Francesco Saporito) tramite la cooperativa Valdarno Superiore, presieduta  da papà Boschi. L’ipotesi è turbativa d’asta: il fascicolo, iscritto dal procuratore Carlo Maria Scipio e di cui Rossi è cointestatario, porta il 24 marzo 2010 a una doppia perquisizione in casa del padre del ministro (all’epoca non ancora membro del Cda, mentre la figlia è sconosciuta ai più) e in quella di Marco Apollonio, professore che ha acquistato un pezzo di tenuta per 460 mila euro.

Ecco le fotocopie di biglietti da 500 per 250 mila euro. Che roba è? Interrogato da finanza, Rossi e Scipio, il prof spiega: è il nero che sono stato costretto a pagare, 210 mila figurano nel rogito del notaio, il resto era clandestino. Il 4 febbraio 2013 (Scipio è già in pensione) si arriva all’archiviazione della primitiva turbativa d’asta (mai individuata). Ma il fascicolo resta in piedi, Rossi diventato reggente vuol verificare se ci sia estorsione.

In realtà, il reato non regge: richiede la minaccia di un danno ingiusto che nel caso non c’è, l’acquirente non era obbligato a firmare il contratto. Oltretutto sarebbe stata una strana estorsione: il nero viene versato due giorni dopo l’atto notarile, quando Boschi non poteva più pretendere niente, visto che i due ettari erano già passati di mano.

Il 7 novembre 2013 Rossi firma una nuova richiesta di archiviazione. Il 9 dicembre la Finanza invia in procura un processo verbale di contestazione per i 250 mila euro mai denunciati. Parte un nuovo fascicolo, iscritto dal procuratore a fine 2013 (quindi dopo il convegno del 23 ottobre cui partecipa anche la Boschi, ancora semplice deputato, e organizzato non solo dalla procura ma anche da prefettura e Camera di Commercio) per evasione fiscale. Ma l’Agenzia delle entrate corregge: la cifra non va interamente contestata a Papà Boschi, c’è l’altro socio Saporito. E così si va sotto la soglia di punibilità, fissata all’epoca in 50 mila euro di imposta evasa.

Resta l’illecito fiscale per cui Boschi senior si affretta a presentare l’adesione all’accertamento, con memoria difensiva depositata in procura. Siamo nel febbraio 2014 e Maria Elena Boschi sta diventando ministro: l’inchiesta muore lì, non c’è più illecito penale. Inevitabile la richiesta di archiviazione. Stavolta definitiva.