Foto d'epoca con La Nazione: la vita attraverso l'epopa dell'occhio meccanico

L'obiettivo della macchina fotografica esplora i vicoli, le strade, le valli della nostra memoria: il commento dello scrittore dei grandi viaggi

Attilio Brilli

Attilio Brilli

Arezzo, 28 aprile 2016 - Scatti dell’occhio meccanico e dell’inesorabile pendola del tempo, queste ventidue foto segnano altrettanti momenti della vita della comunità aretina e delle sue valli. Un secolo in provincia in cui si rispecchia un analogo lasso di tempo di vita nazionale.

Nell’insieme, le foto coprono l’intero XX secolo, con un paio di scampoli ottocenteschi. Cento anni particolarmente drammatici, inchiodati ad un tragico destino da due conflitti mondiali, inframezzati dal fascismo. Ne nasce una narrazione coinvolgente nella quale è si seguono i diversi rivoli in cui si ramifica la storia. Basti pensare all’euforia della gente che saluta i volontari in partenza per la grande guerra, alla quale fanno da riscontro gli sguardi perplessi dei reduci riuniti nel teatro Politeama.

Oppure si può seguire l’avvento e la fine del regime fascista, dalle bande di squadristi a Foiano, in una foto lucida come la follia che rappresenta, alla visita di Mussolini a S. Giovanni Valdarno, alla Pieve vittima dei bombardamenti. Potremmo inoltre ricostruire i fasti dell’imprenditoria della terra aretina soffermandoci sulla foto delle maestranze della Buitoni, a Sansepolcro, scenograficamente distribuite sulle due rampe di scale, con rigorosa separazione fra uomini e donne e con i dirigenti al centro , e dire poi che dei fasti di quella grande azienda «più non si ragiona».

Sono parte della narrazione i riti quotidiani, come l’uscita degli operai dalla ormai mitica Unoaerre, e quelli ricorrenti, con la sfilata dei vespisti in tuta bianca. Come avviene in tutte le storie, nella sequenza di foto si alternano momenti patetici a momenti drammatici, ad altri ancora grotteschi. Come non definire una tragica caricatura la figura del fascista che scorta i balilla con tanto di gagliardetto al cospetto dei gerarchi in fez e stivali?

Anche in foto, il male attrae l’attenzione molto più del bene. La foto della consegna della fatidica targa 50.000 sembra tratta da un romanzo di Gadda, con tanto di borghesia in parata: impettita, sorniona e soddisfatta. L’abbattimento della ciminiera Sacfem potrebbe chiudere idealmente la serie e diventare il simbolo della fine dell’industria aretina, nonché dell’insipienza di chi nel 1977 ignorava l’esistenza dell’archeologia industriale.

di Attilio Brilli