Oro, via agli affari puntando la ripresa: Dubai recupera, gli Usa ok

Dai timori per Trump alle preoccupazioni della Brexit: previsioni un anno di lieve crescita che potrebbe riportare in positivo i dati dell’export

Partiti gli affari della mostra

Partiti gli affari della mostra

Arezzo, 7 maggio 2017 - E il buongiorno si vede dal mattino, ossia dai primi cinque mesi dell’anno, sarà un 2017 migliore (di poco) del 2016. Il -1,8 per cento di export (sostanziale stabilità) potrebbe arrampicarsi in leggero terreno positivo. Tra i protagonisti del Palaffari questa è la sensazione generale, anche se numeri ancora non ce ne sono. Giusto quelli che mandano in cantiere i dodici mesi finiti a dicembre, mentre il periodo gennaio-aprile è come una carta geografica del passato, di quelle in cui le zone sconosciute erano contrassegnate dall’hic sunt leones.

Tuttavia l’istinto di chi sta dentro il mercato dell’oro difficilmente tradisce e il primo sentiment, come si dice adesso, non è affatto negativo. Dubai manda qualche segnale di timida ripresa, la Turchia non crolla, nonostante le convulsioni pollitiche dell’era Erdogan, l’effetto Trump, quello che faceva temere il ritorno del protezionismo anche nel settore dei gioielli, per ora non si è visto. E allora da dove cominciamo?

Forse è il caso di partire da quello che per gli orafi aretini resta di gran lunga il primo mercato, ossia gli Emirati Arabi, il porto franco dal quale i preziosi si diramano poi verso tutto il Medio Oriente fino all’India: i paesi arabi, dunque, l’Iran, le repubbliche ex sovietiche. Il periodo peggiore della crisi, dicono gli esperti, sembra essere passato. Da Dubai, anzi, hanno ricominciato a comprare, nel secondo semestre del 2016 e anche in questo scorcio di 2017. Troppo timidamente per recuperare i fasti del passato, ma abbastanza per evitare un’ulteriore caduta.

La previsione generale, dunque, è che l’export aretino dovrebbe assestarsi sui 620 dello scorso anno. Certo, restano 120 milioni di calo sul 2015 (allora il monte affari era stato di 746 milioni) che andranno recuperati da qualche altra parte nel mondo. Pena una contrazione della produzione che porterebbe i soliti effetti: caduta degli investimenti, cassa integrazione, magari calo dell’occupazione.

Bene, i primi candidati come mercato in espansione restano gli Stati Uniti. A meno che Trump non ci metta la coda, sotto forma di dazi ovviamente.Ma finora il presidente si è rivelato la classica tigre di carta: tanta paura però nessun danno concreto. Uno, insomma, che magari predica male ma che alla fine razzola parecchio meglio. Senza interventi protezionistici, il trend è alla crescita sia dell’export diretto negli Usa sia di quello di rimbalzo, che dalle repubbliche centroamericane, Santo Domingo, Panama & C., finisce poi negli States.

Che nel 2016 hanno fatto il sorpasso e sono tornati per Arezzo il terzo mercato mondiale, superando la Turchia: 147 milioni di gioielli, con un boom del 24 per cento (punte del 31 per cento nel terzo trimestre). Lasciati al loro sviluppo naturale, gli Usa sono ancora un canale in crescita. Il resto dipende da Trump, gli orafi fanno gli scongiuri.

Piuttosto, invece, si conta su un intervento stabilizzatore del presidente americano in Turchia, paese tutt’altro che tranquillo dinanzi all’involuzione autoritaria dell’ultimo anno. Trump viene visto come un potenziale protettore degli equilibri locali. Gli orafi ci sperano perchè il paese anatolico assorbe export sia in proprio che come sponda verso Iran, Iraq e persino la Siria della guerra all’Isis.

L’ultima notazione è per i timori si Brexit. La Gran Bretagna è tra i primi dieci mercati aretini, ma soprattutto ha conosciuto nel 2016 un’autentica impennata: 37 milioni di gioielli, con un volo del 47,8 per cento. Oro a nove carati e dunque quantità maggiori. Che succederà con le mosse del primo ministro, signoraMay? E’ un’altra incognita di un anno pieno di rebus.