Oro, caccia ai nuovi mercati: sorpassata Vicenza su Hong Kong, boom dagli States

La flessione di Dubai ha riportato gli operatori in movimento: dei tre giganti italiani Arezzo è quello che perde meno, consolidando il primato nell'export. I segnali di preoccupazione

L'ingresso di Oro Arezzo

L'ingresso di Oro Arezzo

Arezzo, 6 maggio 2017 - La grande politica internazionale sembra lontana un milione di chilometri dai capannoni in cui si ripete ogni giorno il miracolo del distretto orafo aretino: quasi due miliardi di export in gioielli (e forse altrettanti in metallo puro) che assorbono quasi per intero la produzione, visto che da anni il mercato interno non tira più. Eppure è proprio questa progressiva internazionalizzazione del settore che lo lega a doppia mandata coi i nodi di quelli che un tempo si chiamavano gli affari esteri.

Ormai quello che fa Donald Trump è altrettanto vitale per un’azienda, o per il sistema delle aziende, di quello che succede nel cortile di ogni singolo stabilimento. E lo stesso vale per la classe dirigente della Cina del capitalismo «rosso», per Putin o per lo stato di perenne instabilità del Medio Oriente. Non sono nomi o esempi spesi a caso. Ormai ad Arezzo lo sanno anche i bambini che Dubai, la capitale degli Emirati Arabi, è il principale mercato di sbocco degli orafi locali.

E che ogni convulsione in Siria, nella guerra all’Isis, nel prezzo del petrolio, si riflette su queso snodo così vitale. E tutti sanno anche dello sforzo poderoso che le imprese stanno facendo per riconvertire almeno parte della produzione al mercato statunitense, dove basta uno starnuto del presidente repubblicano, perennemente sull’orlo della tentazione isolazionista o protezionista, per mandare in fumo mesi se non anni di lavoro. Per non parlare della Turchia, altro paese vitale ma minacciato da una crisi politica che non accenna a stabilizzarsi.

Bene, ma tutto questo come incide sull’export della prima provincia esportatrice d’Italia (in termini pro-capite, ovviamente, non in valori assoluti)? Il 2016 si è chiuso (e sono gli ultimi dati disponibili, freschi di elaborazione in Camera di Commercio) con una sostanziale tenuta dell’oro aretino, che manda all’estero 1 miliardo e 800 milioni di gioielli, contenendo il calo in meno del 2 per cento (per la precisione l’1,8).

Tra le tre capitali del metallo prezioso è la prestazione migliore: Vicenza perde il 9, Valenza Po il 7. Oltretutto, le esportazioni di questa provincia valgono molto più in termini assoluti: l’export vicentino si ferma a un miliardo e trecento milioni, quello di Valenza a un miliardo e mezzo. Come a dire che gli orafi aretini esportano tra il 20 e il 30 per cento in più dei competitor italiani.

Un trend ormai consolidato da anni, uno dei motivi che hanno spinto il gigante Ieg a farsi avanti per le fiere orafe aretine, fra cui Oro Arezzo alla vigilia dell’apertura: chi vuol contare davvero, non può prescindere dal distretto più importante d’Italia. Le note di dolore vengono semmai dall’ulteriore caduta del canale di Dubai. Le aziende sono riuscite a spedirci in un anno 626 milioni di oro, il 16 per cento in meno rispetto ai 746 del 2015. Poteva andare anche peggio, ma sono pur sempre 120 milioni che il sistema Arezzo deve recuperare da qualche altra parte del mondo.

Ecco allora che quel «popolo di formiche» che sono gli orafi aretini ha ripreso in mano le valigette di campionario ed è ripartito alla conquista dei mercati internazionali, anche se gli Emirati restano uno sbocco fondamentale, che sarà ancora a lungo insostituibile. Non a caso la Camera di Commercio si sta attrezzando per coprire direttamente i paesi che finora erano serviti dagli esportatori di Dubai.

L’Iran, ad esempio, o le repubbliche ex sovietiche del Caucaso e dell’Asia musulmana. Ma lo sforzo si concentra soprattutto su quelli che sono ormai il secondo e il terzo mercato dell’oro aretino. Hong Kong e gli Stati Uniti. Del primo c’è poco da dire: è la porta della Cina (ed è per questo che i raffreddori di chi comanda a Pechino sono importanti) ma anche quella del Giappone e persino dello stato-continente australiano. La crescita del 2016 è stata imponente: più 16,8 per cento contro la flessione di Vicenza di Vicenza del 21.

Un dato che ha portato al sorpasso: Arezzo è adesso il primo esportatore nazionale ad Hong Kong, con 223 milioni contro i 221 vicentini. Ma il vero miracolo del 2016 si chiama Stati Uniti, dove le aziende nostrane sono tornate in forza: 147 milioni di export (sorpasso sul canale turco), con un boom di quasi il 25 per cento, che nel terzo trimestre ha toccato il 31. Ora sono tutti lì a vedere l’effetto Trump: davvero «The Donald» aumenterà i dazi, come ha più volte minacciato.

Per adesso rischia di rimetterci la Vespa Paggio, ma il presidente l’oro non l’ha ancora toccato. Se continua così, il miracolo potrebbe proseguire. Senza dimenticare però che tutto il mercato americano vale appena 20 milioni in più delle perdite su Dubai. Washington e New York valgono bene una messa, ma il business si gioca ancora principalmente in un Medio Oriente sempre più infido.