Ostacolo a Bankitalia, la sentenza slitta al 30 novembre: il Gup chiede più tempo

Le arringhe dei difensori: crediti deteriorati e Palazzo della Fonte, perchè Fornasari, Bronchi e Canestri sono innocenti. I Pm avevano chiesto penne di 2 anni e 8 mesi (ex presidente ed Dg) e 2 anni

Luca Bronchi

Luca Bronchi

Arezzo, 21 ottobre 2016 - Slitta la prima sentenza sul caso Etruria, quella del processo col rito abbreviato in cui l'ex presidente Giuseppe Fornasari, l'ex dg Luca Bronchi e il direttore centrale David Canestri sono accusati di ostacolo alla vigilanza di Bankitalia. Dinanzi alla complessità delle questioni tecniche, il Gup Anna Maria Lo Prete ha chiesto più tempo per esaminare le carte. Cancellata l'udienza di mercoledì prossimo 26 ottobre, che doveva essere quella del verdetto, si va al 30 novembre, quando il giudice dovrebbe finalmente dire: colpevoli o innocenti.

Intanto, in aula, è stato il giorno delle difese. Hanno già parlato l'avvocato Stefano Lalomia e il collega Luca Fanfani, nel pomeriggio toccherà ad Antonio Bonacci e Antonio D'Avirro. Le argomentazioni sono molto tecniche e per quanto riguarda i crediti deteriorati che sarebbero stato volutamente occultati nel bilancio 2012 fanno riferimento al fatto che siano stati rispettati i criteri contabili internazioni e anche quelli di Banca d'Italia, poi modificati in corso d'opera, sulla valutazione degli Npl: non c'è mai stata volontà di trattenere i deteriorati allo stato di incagli invece che di sofferenze per evitare di dover appesantire il bilancio già critico con ulteriori accantonamenti.

Per quanto riguarda l'operazione Palazzo della Fonte, spiegano le difese, a Banca d'Italia furono fornite tutte le informazioni sintetiche per esprimere le proprio valutazioni. Ma anche nel caso ci fosse stata qualche omissione, essa non sarebbe stata di livello tale da inficiare il giudizio di via Nazionale. E i finanziamenti alle società satellite del consorzio acquirente non c'entrano con l'operazione principale. Ecco perchè gli avvocati chiedono l'assoluzione e contestano le pene sollecitate dall'accusa durante la scorsa udienza.

Due anni e otto mesi di condanna per Fornasari; due anni e 8 mesi chiesti anche per Bronchi; 2 anni, infine, per Davide Canestri. Così la requisitoria del procuratore Roberto Rossi e del pm Julia Maggiore in un giorno chiave per la vecchia Banca Etruria, quella affondata sotto il peso dei crediti deteriorati e di qualche operazione che Banca d’Italia e Pm considerano quantomeno sospetta. L'avvocato di Bankitalia ha rincarato la dose, chiedendo 327 mila euro di provvisionale danni, come liquidazione delle spese d'ispezione, più i danni d'immagine non quantificati.  Nel pomeriggio di mercoledì era sceso in campo anche il primo degli avvocati difensori, Carlo Baccaredda Boi, secondo il quale ovviamente gli accusati vanno assolti.

Comunque vada, la sentenza sarà una pietra miliare e non solo per il caso Etruria, che pure è fra i più spinosi. Degli scandali bancari che hanno scosso il sistema bancario dopo il 22 novembre del decreto di risoluzione, questo è il primo che sta per arrivare a definizione. Tutti gli altri sono ancora più indietro: le procure di Ancona, Ferrara e Chieti per le tre consorelle di sventura di Bpel, ossia Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di Chieti, i Pm di Vicenza e quelli di Roma per Popolare Vicenza e Veneto Banca, che hanno sì evitato il fallimento ma non i fulmini dei magistrati per falso in bilancio, aggiottaggio e ancora ostacolo alla vigilanza. In tutte queste inchieste il verdetto ormai prossimo sarà un punto di riferimento.

BENE, ma in cosa consistono le accuse che la procura muove a Fornasari, Bronchi e Canestri e che derivano dall’ispezione Gatti (Emanuele), il mastino di via Nazionale che scoperchiò gli altarini più reconditi di una banca allora al di sopra di ogni sospetto? I capi di imputazione sono due: la gestione dell’operazione di spin-off Palazzo della Fonte e l’ipotizzata sottovalutazione di una parte dei crediti deteriorati perchè non gravassero su un bilancio già disastrato.

Siamo nel 2012, in casa Etruria è già arrivato, in luglio, il primo, drammatico, avvertimento del governatore Ignazio Visco: serve un deciso colpo di timone sui conti, altrimenti la strada della fusione è inevitabile. La banca mette allora in cantiere, per rafforzare il patrimonio, la vendita a un consorzio esterno di gran parte del proprio patrimonio immobiliare, raccolto nella società Palazzo della Fonte. Il piano va in porto a dicembre e porta effettivamente fiato al bilancio, ma per Gatti, come ora per i Pm, si tratta di una vendita fittizia, di una partita di giro nella quale chi compra lo fa con soldi che sono della stessa Etruria. Lo dimostrerebbero i finanziamenti concessi, quasi in contemporanea con il contratto, a società satellite di quelle acquirenti. Bronchi, regista dell’operazione, nega con decisione: non c’era nessun collegamento.

C’È POI la questione dei deteriorati: alcuni sarebbero stati trattenuti allo stato di incaglio e non di sofferenze per ridurne l’impatto sul bilancio. Qui sia l’ex Dg che Canestri si sono difesi con forza, facendo riferimento a tutta una serie di parametri tecnici che loro avrebbero rispettato. Per entrambi i capi, invece, Fornasari si è limitato a una dichiarazione spontanea: ho preso la banca in condizioni disperate e ho fatto il possibile per salvarla. Difficile ipotizzare che basti ai Pm. Pare scontato che oggi chiederanno la condanna per tutti, sia pure graduando le pene a seconda delle responsabilità. Parlerà anche l’avvocato di Bankitalia ed è inevitabile che vada a sostenere le tesi d’accusa. Un caso che scotta per una sentenza pilota.

Salvatore Mannino