Terremoto, in fuga la notte di Natale: racconto della scossa record nella storia aretina

Era il 25 dicembre del 1352: è l'unico sisma che superò il sesto grado Richter, colpendo Monterchi e Sansepolcro. Così le cronache. Immagini del Fotoclub La Chimera

Il terremoto a Monterchi del 1917

Il terremoto a Monterchi del 1917

Arezzo, 13 novembre 2016 - «Scappavano nudi negli orti e nelle piazze di Monterchi e Sansepolcro». Nudi, in quella notte di Natale del 1352. Lo racconta Mattia Villani, la cui Cronica è il giornale radio che arriva dal passato. E che documenta la più grande tragedia sismica della storia aretina. L’unico terremoto oltre il 6° grado Richter. Lì, in quel’angolo della provincia dove spesso la terra trema. Nel 1352 come nel 1917. In cima al colle denominato in passato monte di Ercole (da cui Monterchi), ma che dell’eroe mitologico sembra aver ereditato più le fragilità umane che la potenza divina.

Una storia appesa alle cronache di Villani ma anche di Antonio Maria Graziani e che ai giorni nostri uno studioso scrupoloso di Monterchi,Matteo Romanelli, ha ricostruito quasi minuto per minuto. Duemila morti, 500 solo a Sansepolcro, il crollo della Torre d’Elci, le macerie tra le case e tra le mura del Borgo. Hai l’impressione di camminare tra quelle macerie, di affacciarti tra la pietra e la morte. Le mura del Borgo.

E l’onda che oltre a investire in pieno Città di Castello e Citerna, fu avvertita fino a Bologna. E le cui repliche sarebbero durate oltre un mese, anche se lontane dalle due scosse principali. Una la notte di Natale, l’altra la notte di San Silvestro. Scuotendo un mondo diverso. Dove non si tirava mezzanotte per stappare lo spumante o per farsi gli auguri. E in cui quindi i più furono colti a bruciapelo nel sonno. «Il disastro conferma Graziani – avvenne nel sonno e fu tanto improvviso che la maggior parte delle case crollò prima che le persone potessero uscire».

In trappola: nel 1352 come ai giorni nostri, come nel terremoto del Messico, le cui voci sotto le macerie sono l’anima di un film uscito nei giorni scorsi. Una giustizia divina, avrebbe concluso oggi Radio Maria: e chissà a fronte di quali incredibili peccati. Perché in quegli anni si incrociavano in Valtiberina la carestia decennale, un’epidemia di peste e la guerra. Tutto in un colpo solo, tutto coalizzato a fare di quella notte di Natale il primo angolo di sollievo. E invece ecco il terremoto.

Le cui coordinate sono tramandate nei manuali di sismologia: epicentro a 2 chilometri da Monterchi,a 3,85 da Citerna, a 4,24 da Monte Santa Maria Tiberina, 9 chilometri da Castello. In paese anche le truppe inviate dai Visconti di Milano, travolte dal crollo proprio della Torre d’Elci. Impossibile sapere a distanza di secoli su quale tessuto urbano si siano abbattuti. Ma è facile immaginarlo se anche nel 1917, l’altra scossa devastante della storia di Monterchi, crollarono gli edifici come castelli di carta.

«Nei paesi – aveva scritto per La Nazione Enzo Boschi pochi anni fa – le case abitate avevano i muri per lo più di ciottoli di fiume o di pietre non squadrate, con le travi dei tetti e dei solai scarsamente inseriti nelle pareti». Nè è dato sapere, anche se è facile immaginarlo, se anche nel 1352 si aprirono fenditure di oltre un chilometro e larghe fino a mezzo metro. E se dalle sorgenti saltarono fuori getti di acqua solforosa. Non rischiò nulla la Madonna del Parto, sei secoli dopo salvata sull’orlo del crollo della cappella del cimitero: ma semplicemente perché nel 1352 Piero era ancora di là da nascere.

Ieri come allora scoppiò la polemica sugli aiuti. I primi ad arrivare furono gli anghiaresi, perfino a Sansepolcro, in barba ai campanilismi dalle radici nella storia. Secondo Villani i tecnici inviati dai Visconti arrivarono solo dopo i fuochi: anche se la notizia è da prendere con le molle, Villani era cittadino della Repubblica di Firenze, in guerra proprio contro i Visconti oltre che contro i Tarlati, un pizzico di veleno in più forse ce lo gettava volentieri. Ma certo i tempi di intervento erano ben lontani dalle ore o dai minuti attuali e questo appesantiva il conto delle vittime.

Ma il suo racconto poi è travolgente. «Alla Terra del Borgo quasi tutti gli edifici fece rovinare, nel cui scotimento pochi ne poterono campare, fuggendosi gnudi nell’orti e nelle piazze della Terra. E quasi la maggior parte de’ terrazzani e de’ forestieri che v’erano, feciono delle case sepolture a lacerati corpi. E molti magagnati e mezzi morti, stettono parecchi di sanza aiuto sotto le travi e palchi e altre concavità fatte dalle ruine».

Ti trasmette urla, paura, angosce che bucano i secoli e atterrano comodamente sulle cronache di questi giorni. Lì dove il cemento armato sostituisce le pietre di fiume, dove i condomini hanno preso il posto delle torri. Ma dove la paura resta esattamente la stessa. Oggi come ieri, quella della notte di Natale di quel 1352.

di Salvatore Mannino