"Lei ospiterebbe un extracomunitario?", il docufilm di Rezza e Mastrella

In anteprima nazionale domenica all'Eden alle 20,30 alla presenza degli autori. Gli italiani tra razzisti e pacifisti

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AREZZO 22 ottobre 2016 - IL FESTIVAL dello spettatore chiude domenica sera alle 20,30 al cinema Eden di Arezzo con l'anteprima nazionale del  lungometraggio di Flavia Mastrella e Antonio Rezza "Milano via Padova", una inchiesta giornalistica condotta in un quartiere di Milano dove è alta la concentrazione di stranieri che convivono con gli italiani. Rezza con la telecamera è andato a intervistare la gente in strada per far parlare la gente. Un docu film autoprodotto e distrtibuito autonomamente che verrà poi portato a Siena e nelle sale cinematografiche italiane "che lo vorranno" come fa sapere l'autore. Alla proiezione di domenica saranno presenti Rezza e Mastrella. Ma cosa racconta il film? "Nel film spicca il lavoro di persuasione svolto negli anni dai mass media sul modo di pensare della popolazione _ spiegano i due autori _ l’uniformità di argomentazioni relative al razzismo, inibisce il sentimento e lo rende doppiamente minaccioso". L'inchiesta è condotta da  Antonio Rezza, Flavia Mastrella, immagini di Marco Tani, presa diretta di Massimo Simonetti, Ivan Talarico, Daniele Verlezza, interprete Adil Bahir, è un sabato mattina di maggio,  la metropoli è quasi deserta.  "Il film parla di razzismo e insofferenza e racconta, attraverso il canto, la convivenza forzata e la cultura di chi è straniero _ continuano Rezza e Mastrella _ le risposte, a tratti di frasi fatte, in altri momenti scoordinate, rendono metafisico lo squilibrio sociale. I razzisti sostengono che gridare è un reato e i pacifisti cercano disperatamente di aiutare, di assistere, di voler integrare a tutti i costi chi, per volere politico, viene regolarmente maltrattato. Come se essere integrati fosse una cosa buona. È evidente quanto la mancanza di organizzazione determini la tensione tra gli abitanti che non riescono a comunicare; gli stranieri non sanno l’italiano e gli italiani non conoscono l’inglese. Viviamo inconsapevoli la violenza del disagio. La domanda ricorrente è 'lei ospiterebbe a casa sua un extracomunitario? '. Sembra un quesito assurdo, ma tutti hanno creduto possibile una tale eventualità, ognuno di noi non esclude il paradosso. E allora si affaccia un dilemma insospettato: perché dobbiamo essere uniformi e uniformati? A che serve questo formalismo di democrazia caotica? Forse il problema della diversità è proprio ritenere diverso chi non lo è per niente. Siamo pezzi di carne che va al macello e non basta il colore a salvarci. Né la provenienza e neppure la lingua. Il razzismo è l’uomo che si sopravvaluta e che trova il tempo di scorgere irrisorie diversità sommerse dall’omologazione che dilaga. Gli stranieri, infatti, vogliono quello che vogliono gli italiani, il lavoro, una casa, i diritti. E mai la libertà di decidere autonomamente cosa fare. Noi, come loro, restiamo aggrappati all’infamia utopica della vita civile che ci incatena a una contingenza che crea fossati, voragini di intolleranza. Chi ci obbliga al vivere civile ci impone l’intolleranza sociale. Siamo razzisti su suggerimento dell’istituzione. Siamo razzisti programmati dalle nuove tecniche di persuasione collettiva. E gli stranieri si adeguano sviluppando un razzismo parallelo foraggiato dalla vita che scorre".