L'Arezzo segreta e misteriosa nell'ultimo film di Piero Comanducci

Teatro Petrarca stracolmo, gente in fila per entrare a vedere "Vedute o visioni?". Un viaggio nella città antica raccontata dalle tracce della storia e dagli artisti che l'hanno dipinta nei secoli. E quello strano acquedotto dipinto da Vasari

acquedotto

acquedotto

AREZZO 24 settembre 2016 - TEATRO Petrarca stracolmo. Gente in fila dalle 14 per aggiudicarsi gli ultimi inviti. E non dite che gli aretini non amano la propria città. Quando si tratta di venire accompagnati alla scoperta delle nostra storia, soprattutto se presi per mano da un «regista» appassionato come Piero Comanducci che ha girato il suo ultimo film con la curiosità di uno scienziato davanti a un microscopio, non si fanno pregare. Con la telecamera è andato là dove l’occhio fa fatica ad arrivare per scoprire l’altra faccia della città e aggiungendo documenti, antiche stampe, opere d’arte, per raccontarne l’evoluzione, come gli artisti la vedevano e l’hanno rappresentata, per raccontare come eravamo e dove vivevamo. Un viaggio dal 1200 a oggi con la voce fuori campo di Andrea Biagiotti. E così è andato in scena «Vedute o visioni?» per iniziativa dell’associazione Terra di Arezzo di Pier Luigi Rossi con il patrocinio del Comune. A montare tutto il materiale che Piero Comanducci aveva raccolto ma non terminato è stato il figlio Marcello, che è anche assessore comunale al turismo e alle attività produttive, ma qui nel ruolo di figlio che vuole rendere omaggio al padre e condividere con gli aretini il suo sguardo su Arezzo, quel punro di vista  da filmaker appassionato quale era. C’è la Pieve nei suoi vari passaggi architettonici, dalla cripta a cinque arcate del progetto originale, poi ridotte a tre, e  le sue figure strane, ancestrali, compreso un koala scolpito su un capitello quando ancora questa bestiola non era conosciuta. C’è il Duomo visto da un antico pertugio della facciata che porta sopra le navate e i suoi tanti passaggi segreti. Le iscrizioni e le scritte, brutta abitudine che si perde nella notte dei tempi, sfregi su  muri e dipinti, sulle cornici dei quadri di chi ha voluto lasciare a tutti i costi traccia di sè, compreso un giovane Gino Bartali e un improabile S.Pietro. C’è il Marcillat con le sue vetrate, c’è il Pionta con parte dei suoi resti incastonati nella Pieve e il disegno di come era la cattedrale di Santo Stefano e la cittadella vescovile. C’è il pozzo di San Donato e il suo calzare nella chiesa di S.Maria in Gradi. C’è il Prato con la Fortezza prima del restauro. E ci sono i panorami di Arezzo a fare da sfondo nei quadri di Teofilo Torri, Bartolomeo della Gatta, Benozzo Gozzoli, Giorgio Vasari, Salvi Castellucci. Da queste le sorprese più grandi. L’antico palazzo comunale, la Cattedrale incompiuta, Piazza Grande con i mercanti ognuno con il suo spazio delimitato sul selciato e gli spettacoli per il popolo, palazzi e mura che non esistono più e una inedita visuale del Vasari di Arezzo vista da Castelsecco. L'ha dipinta sullo sfondo della Deposizione nella chiesa della Santissima Annunziata. La telecamera di Piero Comaducci ha indugiato molto sul panorama disegnato dietro alla croce: è Arezzo, con il suo profilo, il Duomo, il Comune, una figura rossa che passeggia e un acquedotto. No, non è quello del Vasari. Questo dipinto è datato 1529, l’acquedotto sarà costruito a partire dal 1593, su suo progetto ma diciotto anni dopo la sua morte. Cos’è allora quella costruzione ad archi? E come mai già esisteva il cisternone del Prato? C’era già stato Comanducci con Pier Luigi Rossi nel tracciato sotterraneo dell’acquedotto calandosi da Piazza Grande a cercare una risposta. Ancora non è stata data. In compenso ha lasciato la voglia di trovarla e soprattutto di guardare la città di Arezzo con altri occhi.

Silvia Bardi