I diari di Pieve: Paola Nepi e un mouse speciale per raccontare la sclerosi multipla

Nata a Montevarchi scrive la sua autobiografia (1942-2016) con un sensore: gioia di vivere nonostante gli scherni dei compagni di scuola perché diversa, le lunghe cure, la sedia a rotelle. Ma anche la rivendicazione del diritto di morire dignitosamente

paola nepi

paola nepi

Arezzo 12 settembre 2017 - UNA ARETINA finalista al premio dei diari di Pieve Santo Stefano che si terrà dal 14 al 17 settembre. E' Paola Nepi di Montevarchi, oggi ha 72 anni ed è da quando ne aveva nove che convive con la distrofia  muscolare. Questo non le ha impedito di amare la vita e di viverla gioiosamente tra viaggi e amori. Ora grazie a un mouse speciale che  "sente" il movimento del suo dito ha potuto scrivere la sua autobiografia.

SI PUO’ vivere sentendosi liberi quando si dipende da un respiratore? Sì, ma se si è anche liberi di scegliere se e come morire. Una lotta continua quella di Paola Nepi, aretina di Montevarchi che all’Archivio dei diari di Pieve ha inviato la sua autobiografia «Lo strappo» dal 1942 al 2016. Paola è malata di distrofia muscolare e il diario lo scrive grazie a un mouse speciale che sente il movimento del suo dito. Testimonianza di sofferenze, cure sbagliate ma anche di gioia di vivere purché vengano rispettati i diritti delle persone, la loro diversità, la loro dignità. La diagnosi della malattia arriva quando Paola ha 9 anni. Inizia un calvario fatto di visite specialistiche, diagnosi errate (leggera scoliosi scolastica), dispositivi di correzione invasivi come il busto e il letto di posizione. Alla sua «diversità» si aggiungono gli scherni e le battute violente delle compagne di scuola: «Le parole che mi ferirono come una coltellata le pronunciò l’Orietta: “Tanto tu diventerai gobba e non troverai marito, bene, bene!”». Anche il gioco della campana diventa motivo di scherno: «Tutti intorno erano chini ed a bocca aperta dalle risa imitavano la mia posizione. Ero davvero buffa: gambe impalate, culo in su, tutto il busto diritto e duro fino a terra, l’armatura che mi ingabbiava non mi permetteva altro; non ero e non sarei più stata un giunco mormorante ma solo un burattino legnoso che suscitava risate».

ALLE SCUOLE medie comincia a muovere male un braccio, alle superiori sono le gambe a dare segni di cedimento. La distrofia, ormai manifesta, le viene infine diagnosticata e la costringe ad abbandonare gli studi. Ma Paola non perde la voglia di vivere. Per se stessa, per chi le vuole bene, a partire dal padre: «Anche per lui, per la sua gaiezza, per la sua dedizione ce l’avrei fatta, volevo farcela. Fu in quel momento che promisi a me stessa che mai mi sarei fatta invadere dal buio del male. L’amore, la tenerezza che portavo dentro, sì per tutto questo e molto altro ce l’avrei fatta». Dà ripetizioni agli alunni delle elementari e scopre che indossando scarpe con tacco riesce a muoversi ancora con facilità. Una breve rinascita, seguita da nuovi ricoveri e cure sperimentali, pellegrinaggi e presunte terapie miracolose fino il passaggio obbligato, a 30 anni, sulla sedia a rotelle. Per Paola è una resa con risvolti benefici, che la porta a una nuova consapevolezza, ad affermare il diritto alla libertà di scelte proprie fino alla fine.

SI ISCRIVE all’università a Firenze, viaggia, si innamora di un vecchio amico ritrovato e lo sposa. Intanto la malattia, che le ha portato via anche la madre, giunge a uno stadio estremo. A un passo dalla morte, accetta di vivere ancora grazie alla ventilazione artificiale. «Per continuare a parlare col mio io profondo scrivo con un solo dito ed un mouse speciale e l’intesa fra il mio dito e l’unico tasto che riesco a pigiare ancora va, non so fino a quando ma non ci penso. Confesso però che ora sono stanca, sfinita, non depressa, non triste. Vorrei però andarmene serenamente, quasi in allegrezza non più esistere e, datevi pace, la vita nel bene e nel male riserva sempre qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio e qualcosa di blu».

COSI' SCRIVE PAOLA NEPI

"IL FATIDICO strappo che mi mutò da una creatura come tante nell’additata fu quello dei nove anni quando gli occhi di mia madre, in un’afosa giornata d’estate, si posarono per caso sulla mia schiena e rivelarono al suo sguardo l’asimmetria delle mie spalle. D’un colpo si spalancò l’abisso per tutta la famiglia. Nel manifestare lo sconcerto però avevano modalità molto differenti fra loro. Mia madre mi recitava ogni volta tutta la cronistoria delle sue tribolazioni finché io fra dolore e paura sbottavo, lei urlava che non meritavo niente e fra noi cadeva il silenzio. Mio padre invece non se la pigliava mai con me. Il prologo era una sfilza d’improperi contro l’universo mondo, santificava quindi lo sfogo con due o tre moccoli, chiudendo poi il tutto con la frase: “Non te la pigliare Paolina, per te ci sarò sempre io!” “Grazie babbo, ma sai che consolazione, io che sogno già di volare!” avrei voluto rispondere, ma tacevo limitandomi a storcere il naso.

LO STORICO MARCELLO FLORES RICORDA IL SUO "INCONTRO" CON L'ARCHIVIO DEI DIARI

HO AVUTO la fortuna di vedere l’Archivio dei diari muovere i suoi primi passi, grazie all’amicizia che mi legava al suo fondatore Saverio Tutino. Con gli amici di allora ci recammo a Pieve incuriositi dal fermento che circondava l’inizio di questa impresa. Nell’attimo in cui mi trovai davanti ai primi diari raccolti rimasi colpito. Ognuno così diverso nella scrittura, nel formato, nel tipo di carta. Questi fogli personali, all’apparenza così umili e insignificanti, appena messi insieme riuscivano a trasformarsi in un grande racconto di vita collettivo. Una forza inaspettata che mano a mano prendeva forma da queste piccole cose. Da allora l’Archivio dei Diari è cresciuto e la sua missione si conferma giorno dopo giorno, anche tra le mura del Piccolo Museo dei Diari dove tutti possono vivere le emozioni di quei momenti. Ogni volta che un cassetto multimediale del museo si apre e inizia a raccontare si diventa partecipi di quelle esistenze. La tecnologia sa portarci dentro questa dimensione narrativa e insieme profondamente umana. Saverio Tutino sapeva bene quanto fossero potenti queste storie perdute, ritrovate, svelate e strappate alla loro realtà domestica. La vera forza dell’Archivio dei Diari sta tutta qua: essere riusciti a trasportare questo spaccato di vita intima e familiare in un ambito sociale. Questo ha di fatto sostituito un vero e proprio archivio creando un popolo dei diari. Così è nata una nuova coscienza, una nuova cittadinanza. Un po’ alla volta la storia e l’attività dell’Archivio hanno spinto le persone ad andare a caccia di storie, a scrivere diari e a rendere pubblici quelli ritrovati in un armadio. Perché ci si è resi conto dell’importanza non più solo privata di queste fonti, che appartengono ad un noi intimo e allo stesso tempo universale.