All’Archeologico la Chimera in 3D. Nuova sala dedicata al nostro bronzo

Copia degli anni Trenta e modello digitale olografico a confronto. Progetto in collaborazione con il Rotary Club

LA COPIA Maria Gatto,  direttrice del Museo archeologico «Gaio Cilnio Mecenate»,  con la Chimera in gesso realizzata negli anni Trenta

LA COPIA Maria Gatto, direttrice del Museo archeologico «Gaio Cilnio Mecenate», con la Chimera in gesso realizzata negli anni Trenta

di SILVIA BARDI

BUON COMPLEANNO Chimera. Il 15 novembre del 1553 il famoso bronzo etrusco simbolo di Arezzo venne ritrovato a sei metri di profondità mentre si stava scavando per costruire il baluardo di San Lorentino. Era rotta, alcune parti mancavano, come tutta la coda, ed era corredata da decine di piccoli bronzetti. Vennero portati tutti a Firenze da Cosimo e non sono mai più tornati. Per restituire in qualche modo la Chimera agli aretini, il Museo archeologico «Gaio Cilnio Mecenate» di Arezzo diretto da Maria Gatto e il Polo museale della Toscana diretto da Stefano Casciu con l’aiuto del Rotary club hanno iniziato un progetto che culminerà a gennaio nell’allestimento al museo di una sala interamente dedicata alla Chimera con la copia in gesso degli anni Trenta e, per la prima volta, con la copia olografica, praticamente il modello in 3D, della statua originale.

«Volevamo superare la questione del ritorno della Chimera e dare gli strumenti agli aretini per conoscere meglio la storia e i valori custoditi da quest’opera che ci identifica ma che in realtà conosciamo poco, volevamo raccontarla agli aretini e ai visitatori di Arezzo – spiega Maria Gatto – Nella nuova sala museale ci sarà la copia in gesso degli anni Trenta, non fu un calco ma fatta a mano copiando quella di Firenze, e servì a realizzazare le statue in bronzo per i giardini della stazione. E ci sarà la parte contemporanea e tecnologica con il video olografico realizzato da riprese fatte sull’orginale al Museo archeologico di Firenze ricavato da oltre 1400 fotografie elaborate da un software che ne ha creata una versione digitale animata per far vedere i vari interventi di restauro dalla scoperta a oggi».

A QUESTO progetto digitale ha lavorato una vera e propria squadra: Massimo Gallorini della Fondazione Arte&Co.Scienza, gli studenti dell’Itis, lo stagista dell’Università di Siena Giulio Papini, i rotariani Benedetto Ridolfo, Marco Becucci, Alessandro Fabiani, le ditte sponsor Ceia e Macevi. «I privati ci hanno finanziato e fornito il prodotto tecnologico mentre il Museo e il Polo museale Toscano si occuperanno dell’allestimento museale grazie anche al Ministero che sostiene il nostro progetto - spiega la direttrice – e siccome dietro alla Chimera c’è tanta storia ancora da raccontare periodicamente organizzeremo incontri a tema per mettere in risalto i vari aspetti legati al nostro bronzo».

Già, in realtà, come spiega Maria Gatto che ha curato il catalogo della mostra della Chimera a Palazzo Vecchio per il G7 della cultura, la Chimera quando venne rinvenuta non solo fu scambiata per un leone (mancava del tutto la coda a forma di serpente che venne rifatta nel 1785) ma fu anche letta come segno di sventura e nascosta. Solo quando gli studiosi riuscirono a collegarla al mostro ucciso da Bellerofonte allora Cosimo la volle per sé e dette a Vasari il compito di metterla in mostra in un palazzo pubblico. Ad Arezzo rimase un dipinto su tela che venne collocato nella sala delle adunanze del palazzo comunale, ci rimase fino ai primi dell’800, poi sparì nel nulla. Come un sogno, un’utopia. Una Chimera.