Ucciso il vitello in fuga dal macello: lettera al sindaco di San Giovanni

"Forse ora la sua carne è sul piatto di chi sperava riuscisse a salvarsi"

Vitellino in una foto L.Gallitto

Vitellino in una foto L.Gallitto

La storia del vitello in fuga dal macello di San Giovanni  abbattuto da un vigile urbano ha colpito molte persone. In tante, forse, hanno sperato che riuscisse a sfuggire al suo destino. Un caso eclatante, finito nei giornali, anche se ogni giorno migliaia di  animali vengono abbattuti per la filiera alimentare. Un invito a riflettere su queste nostre contraddizioni viene da una lettera aperta al sindaco di San Giovanni Viligiardi che qui pubblichiamo

"Gentile sindaco Viligiardi,

leggo sui quotidiani la notizia del vitello abbattuto dopo la sua breve fuga dal mattatoio di San Giovanni Valdarno e, con grande dispiacere, le scrivo queste mie riflessioni sull’accaduto. Vorrei cominciare immaginando un nome per questo povero animale, lo chiamerò Argo, proprio come il cane di Ulisse. Perché dare un nome a un animale che normalmente viene indicato per tutta la durata della propria brevissima esistenza solo con un numero? Anche noi umani veniamo identificati con numeri: quanti voti, quanto reddito, quanti metri quadrati, codice fiscale, partita iva. Ma come la somma di questi numeri non ci rappresenta minimamente per quello che siamo, così anche nel caso di Argo un numero non gli riconosce la giusta dignità di essere senziente, che viene al mondo, che dovrebbe conoscere l’affetto di una mamma, dovrebbe vivere libero, dovrebbe conoscere altri della sua specie, dovrebbe invecchiare, dovrebbe morire. Tutti condizionali. Sono vegano e quindi penso che Argo abbia gli stessi diritti come li abbiamo noi di vivere una vita dignitosa. Non pretenderò da lei una crociata per la messa al bando della carne e dei derivati animali, non arrivo a tanto. Vorrei immaginare però che la storia di Argo possa servire a una riflessione. Quello che fino a un momento prima è un animale senziente, disorientato e terrorizzato, con il cuore in gola, che cerca solo di scappare a una morte cruenta e trovare un rifugio, magari caldo, con cibo e in compagnia di esseri a lui simili, un attimo dopo è carne morta, pronta per essere smembrata, confezionata, cucinata e portata sulle tavole di gente che forse non se ne rende conto, ma sotto sotto aveva fatto il tifo per lui, perché ce la facesse a coronare il suo sogno di libertà e dignità. Pier Francesco Piccardi, Arezzo