Telefonata all'amico, zio Francesco e i tabulati: ecco perché la stangata a padre Graziano

Viaggio tra le pieghe della sentenza sul caso Guerrina: è il massimo della pena al netto dell'aggravante già esclusa dal Pm

Graziano riparte per Roma

Graziano riparte per Roma

Arezzo, 25 ottobre 2016 - La disfatta di Padre Graziano arriva nel giorno che non solo sarebbe stato quello del compleanno di Guerrina ma che è anche l’anniversario di Caporetto. E infatti non potrebbe esserci per il frate più sospettato d’Italia sconfitta più rovinosa di quella che incassa alle otto e un quarto di sera, quando il presidente dell’assise Silverio Tafuro gli legge in faccia la sentenza che lo condanna a 27 anni (più 3 di libertà vigilata) per l’omicidio della casalinga di Ca’ Raffaello e la soppressione del suo cadavere.

Il massimo consentito dal codice al netto dell’aggravante dei futili motivi di cui già il Pm Marco Dioni aveva chiesto la cancellazione e che infatti i giudici non applicano. E’ la fotocopia della richiesta d’accusa. Pochi secondi ma carichi di tensione: quanto basta per intuire dalla formula di rito («Visti gli articoli 533 e 535...) che gli otto giudici, due togati e sei popolari, non hanno fatto sconti, che per loro delitto c’è stato e il sacerdote congolese ne è il colpevole.

Il resto è la cronaca del dopo: Padre Graziano, con una giacca di rigatino blu un po’ fuori stagione, che resta impassibile e scappa via senza commentare, inseguito da fotografi, cameramen e giornalisti, i parenti che si sciolgono in abbracci fra loro, con gli avvocati e col Pm, che se ne va anche lui senza commentare («Una condanna a 27 anni parla da sola») ma da grande vincitore del processo.

Ha vinto la sua ostinazione, ha vinto il coraggio della procura (al caso hanno messo mano anche il procuratore capo Roberto Rossi e il Pm Ersilia Spena ora a Firenze) nell’imbastire un processo per omicidio senza cadavere e senza modalità di esecuzione, hanno vinto i carabinieri protagonisti delle indagini e di una ricostruzione che ha cucito addosso al frate una ragnatela di indizi impossibile da scrollare via.

I giudici si sono dati novanti giorni per le motivazioni, ma cosa li abbia indotti a condannare lo si può già intuire, almeno a grandi linee. Il teorema Dioni (l’atto di accusa) ha prevalso sulla linea Angeletti (Riziero), l’avvocato che ha costruito tutta la sua difesa sul ragionevole dubbio che avrebbe imposto di assolvere. In realtà, c’erano almeno tre elementi, quelli che il Pm ha chiamato la firma e la controfirma sul delitto, che erano scogli quasi insormontabili per i legali del frate.

Il primo è il sms del primo maggio della scomparsa alle 17,26, quello partito dal telefono di Guerrina diretto a un prete nigeriano, Don Hilary Okeke, che solo Padre Graziano conosceva: «Sono scappata con il mio amorozo marochino». Un errore fatale, secondo l’accusa: il sacerdote congolese avrebbe voluto inviarlo alla catechista del paese e invece sbagliò riga della rubrica telefonica, trasformandolo in un indizio forte non solo del fatto che dopo la scomparsa il cellulare di lei fosse finito nelle sue mani, ma anche che lui lo stesse usando per depistare le ricerche.

Perchè farlo se con la sorte della casalinga non c’entrava? A dire il vero, il frate una spiegazione l’ha data, tirando fuori dal cilindro, ma solo dopo essere stato indagato per omicidio, il 5 settembre 2014, la figura dello Zio Francesco: «Venne a chiedermi aiuto per conto di lei che accompagnava nella fuga e io gli diedi il numero di Padre Hilary, confondendolo con quello della catechista». Peccato che il fantasma evocato da Padre Graziano non l’abbia mai visto nessuno se non lui. Per Dioni è appunto la controfirma della colpevolezza.

Ci sono poi i tabulati telefonici, secondo i quali, a partire dal primo maggio della scomparsa, il cellulare di Guerrina si riaccende sempre quando nei pressi c’è anche, sia pure a distanza di qualche minuto, quello di lui. Angeletti ha provato fino all’ultimo a mettere in dubbio questa evidenza («la tecnologia non consente certezze») ma si è guadagnato il sarcasmo di Dioni: «Distinguete fra la scienza e il nulla», il suo ultimo appello ai giudici.

Nè, evidentemente, hanno sortito effetto i fuochi d’artificio della difesa sui cinque testimoni che avrebbero azzerato la finestra del delitto indicata dal Pm: fra le 13,46 dell’ultimo sms di lui a lei («Vieni, la porta è aperta») e le 14,20 della telefonata del frate al maritoMirco. Per l’avvocato bastavano a suscitare il ragionevole dubbio. La risposta della corte è stata la stangata. Per Padre Graziano è davvero Caporetto.

di Salvatore Mannino