Storie di Etruria: il pakistano che voleva rimpolpare Bpel coi titoli cinesi farlocchi

Viaggiava con rotoli di titoli cinesi considerati falsi, ricevuto dai vertici promette 300 milioni: neanche un centesimo. Si spacciava come emissario di un principe saudita: sullo sfondo la vicenda Mureddu

Abdul Aziz Jamulladin

Abdul Aziz Jamulladin

Arezzo, 26 marzo 2017 - Di tutte le trame intessute dalla banda Carboni-Mureddu & C., è forse la più divertente. O magari la più inquietante se si pensa che a questa storia a metà fra Totò-truffa e il film di Bollywood (la Hollywwod indiana, famosa per i film fra la realtà e il sogno) ha creduto per qualche settimana persino l’allora vertice di Banca Etruria, l’ultimo prima del commissariamento e del crac.

Protagonista uno sconosciuto pakistano che viaggiava con rotoli di titoli di stato cinesi (robaccia, secondo la Finanza), attore non protagonista un fantomatico principe saudita di cui il pakistano sarebbe stato l’emissario, comprimari appunto i Mureddu boys e una vecchia conoscenza delle cronache giudiziarie aretine, come l’avvocato svizzero Pierfrancesco Campana. Sì, proprio quello di Eutelia, l’uomo oltre il confine di Chiasso della famiglia Landi, il titolare della Biochefarm attraverso la quale Carboni e Mureddu tentarono la scalata alla Cantarelli che è costata a tutti l’accusa di riciclaggio, all’apprendista faccendiere Valeriano anche il carcere, ora trasformato in arresti domiciliari.

La storia l’ha già raccontata Giacomo Amadori nel libro di Maurizio Belpietro «I segreti di Renzi» e in alcuni articoli del quotidiano La Verità. Ma La Nazione è in grado di aggiungere nuovi particolari. Ad esempio che tutto quanto segue viene dalle indagini Geovision (la società di Mureddu che foraggiava ampiamente Carboni) condotta dal pool dei Pm aretini coordinati dal procuratore Roberto Rossi.

Tra le carte spicca un fascicolo Banca Etruria. Lì appunto si apprendono le vicissitudini di Abdul Aziz Jamulladin, un signor Nessuno che lo staff dirigente di Banca Etruria riceve in pompa magna il 4 giugno 2014. Al piano nobile di via Calamandrei gli uomini di vertice di Bpel ci sono tutti o quasi: il presidente Lorenzo Rosi, il suo vice Pierluigi Boschi, padre dell’allora ministro, il vicedirettore generale Emanuele Cuccaro, il responsabile degli esteri Davide Nacci.

Dall’altra parte il povero Abdul Aziz e Campana. Fuori, a far da autista, aspetta Giuliano Michelucci, sedicente uomo dei servizi segreti di Montelupo, a suo tempo arrestato per caporalato agricolo, uno dei destinatari dell’avviso di chiusura indagini per riciclaggio con Carboni e Mureddu.

Jamulladin dice che rappresenta gli interessi dello sceicco saudita Abdulaziz Al Saud, capo del sedicente Falouda Group, interessato a fare affari in Italia, e pronto a depositare 50 milioni presso Banca Etruria e 100 presso Mps, destinati a diventare rispettivamente 300 e 500. Quelli di Bpel si profondono in onori: per via Calamandrei sono già tempi di magra, un trasferimento di queste dimensioni sarebbe manna.

Il pakistano viene accompagnato presso l’agenzia 1 di via Romana per aprire il conto corrente. Ahinoi, avrete già capito che è la storia del Colosseo venduto agli allocchi. I titoli cinesi sono carta straccia, il conto resterà perennemente a secco, perchè nonostante i solleciti (si muove anche Campana) di soldi veri non si vedrà un centesimo, altro che 300 milioni. Intanto, nelle stesse settimane, si susseguono le manovre della banda attorno a Banca Etruria.

Alla metà di luglio Mureddu accompagna babbo Boschi da Carboni nell’ufficio di via Lodovisi, ufficialmente per discutere di un nuovo direttore generale che il faccendiere sardo indica in Fabio Arpe. Più o meno nello stesso periodo un altro sodale di Carboni e Mureddu, il napoletano Lorenzo Di Martino di Acerra, avanza un’offerta di acquisto di Bpel per conto dello squattrinatissimo fondo quatariota Qvs. Vorrebbe trasformarla nella prima banca islamica d’Europa.

E’ lo stesso Di Martino che mesi dopo, fra novembre e gennaio, si farà avanti per comprare l’Arezzo. A trattare c’è ancora Mureddu. Spariranno tutti a metà gennaio di fronte alle prime rivelazioni di stampa.