"Sono le ore peggiori della nostra vita": lo sfogo dei ragazzi sotto torchio per Martina

Le intercettazioni sulle dodici ore passate nella questura di Genova. Alessandro e Luca si rassicurano durante la lunga deposizione

I giovani in questura e Martina

I giovani in questura e Martina

Arezzo, 22 agosto 2017 - Dodici ore sotto torchio. Dodici ore durante le quali, il 7 febbraio 2012, Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, i due ragazzi di Castiglion Fibocchi accusati di aver provocato la morte di Martina che cercava di sfuggire a un loro tentativo di stupro, vengono sentiti a più ripresa dalla polizia negli uffici della procura di Genova, su delega del Pm Biagio Mazzeo che all’epoca conduceva le indagini.

Di quell’interminabile deposizione (non interrogatorio perchè i due all’epoca non erano ancora indagati) restano adesso il verbale reso davanti a un’ispettrice di Ps, e le intercettazioni ambientali che il Pm aveva disposto nella stanzetta in cui a turno o insieme Alessandro, lo studente campione di motocross, e Luca, il piccolo imprenditore, aspettavano di essere richiamati a testimoniare.

Sfoghi spesso incomprensibili e mal captati dai microfoni, di cui però rimane una drammatica traccia: le parole che i due si scambiano quando sono ormai le 11 di sera: «Sono le peggiori ore della nostra vita». Per la precisione, è Albertoni, la voce maschile 1 delle trascrizioni appena depositate in vista della ripresa dell’udienza preliminare dal perito Daniela Bordet, il primo a dare segni di insofferenza: «...Dodici ore, più...dalle dieci e mezzo (di mattina ndr) che....».

E la voce maschile 2, Vanneschi, replica sconsolato: «...ore peggiori di tutta la nostra vita...». I ragazzi, insomma, fin da allora (e siamo a soli sei mesi dal tragico volo di Martina in un grande albergo di Palma di Maiorca, all’alba del 3 agosto 2011) intuiscono si essersi infilati in un pasticciaccio brutto, anche se magari non immaginano che il tutto, a distanza di cinque anni di indagini, sfocerà in un processo per morte come conseguenza di altro reato e tentata violenza sessuale di gruppo.

La conversazione fra i due (intecettandola gli inquirenti sperano che dicano qualcosa di utile a risolvere il giallo) è smozzicata, infarcita di frasi sotto voce impossibili da ricostruire. Il passaggio più noto, quello in cui Alessandro e Luca fanno riferimento alla mancanza di tracce di violenza sessuale in un momento in cui ancora di stupro non parla nessuno, La Nazione lo ha già riferito a più riprese. Ma in dodici ore di attesa di frasi scambiate ce ne sono a iosa. Specie a tarda sera, quando subentra la stanchezza. «Sò le undici, eh..», dice Luca.

E Alessandro gli domanda: «Te da quand’è che sei uscito?». Luca: «Io? Sarà sei, sette minuti». Alessandro: «Cosa hai detto te?». Luca: «...Addirittura nel verbale dalla Spagna c’è scritto che io...quando te sei corso di sotto...io la prima volta che sono entrato ho trovato te...ho detto che io ho bussato e mi ha aperto te...» (riferimento a quando, dopo che Martina è caduta dal terrazzo del sesto piano, Vanneschi nel suo racconto corre al primo piano per avvertire gli altri, compreso Alessandro sceso a chiedere aiuto alle amiche di Martina perchè lei avrebbe dato in escandescenza Ndr).

Ma soprattutto i due ragazzi ci tengono a puntualizzare fra loro di non aver detto niente che può incriminarli. Ecco Luca allora: «Ma quando si diceva le cose...non ci siamo contraddetti, non è stato diverso...da quando lei si è buttata...lo sai anche te». Poi, sempre a Vanneschi sorge un dubbio inquietante: «....Forse ce vogliono incastrare».

Passano i minuti e Luca solleva il tema di Martina sul balcone: «Come ha fatto a entrare nel terrazzino...». Alessandro: «Eh». Luca: «Lei (l’ispettrice Ndr) ha detto che la questione era questa...ha detto che se non tornava questa». Alessandro prova a rassicurare l’amico: «Se continuano, ce vogliono elementi validi...». Poi però anche lui ha un attimo di sconforto: «...A noi ci hanno aperto il c...». La registrazione si interrompe, il giorno più lungo dei due ragazzi è finito.