L'ombra della piovra: latitanti, rifugiati, un delitto, il riciclaggio dei soldi

Viaggio alla scoperta dell'altra faccia della luna in provincia: una catena di episodi che non possono essere casuali.Il giallo irrisolto dell'omicidio Talarico

L'omicidio Talarico

L'omicidio Talarico

Arezzo, 26 maggio 2017 - L’albergo, quando si chiamava ancora Oliver, lo avevano già confiscato a un altro clan della Ndrangheta. Il 28 dicembre 2011, quando nel mirino del tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzioni, era finito, su richiesto della Dda calabrese, il boss Vittorio Barranca, ritenuto un personaggio di spicco delle Ndrine che operano nella zona di Caulonia, versante ionico della provincia. Allora la misura aveva riguardato la società Oliver Gest, che gestiva hotel, centro congressi, bar e ristorante, di cui Barranca era appunto socio.

Cosa sia successo perchè lo stesso immobile, a distanza di sei anni e mezzo, fosse passato nella disponibilità di un clan di Gioia Tauro, stessa provincia ma versante tirrenico, è per ora un mistero che solo le indagini potranno chiarire. Al netto di chi l’hotel lo gestisce e che, come hanno chiarito subito i carabinieri, con la Ndrangheta non c’entra niente.

E’ un sintomo tuttavia di come anche l’Aretino sia diventato terra di influenza economica per la mafia calabrese ma anche per la camorra campana, che qui provano a riciclare in un tessuto produttivo sano i proventi dei loro affari sporchi. Più defilata la presenza di Cosa Nostra siciliana, mentre in passato si è fatta sentire persino la presenza dei due cartelli della mafia colombiana, quella che gestisce il narcotraffico coi cartelli di Cali e di Medellin, che aveva trovato il modo di reinvestire in oro (tonnellate di metallo prezioso) milioni di dollari sporchi.

Tramite i due fratelli Pataro, che nel 1995 furono arrestati (e poi condannati) nella clamorosa operazione Unigold. Ma questo è un episodio isolato. Quelle che fanno paura sono le infiltrazioni della Piovra nazionale, di cui l’ex Oliver è solo l’ultimo esempio. I clan di camorra e di ndrangheta sono arrivati ad Arezzo, specie in provincia, col soggiorno obbligato ma soprattutto, come conferma anche Raffaele Cantone, attuale presidente dell’Authority anticorruzione con un passato da famoso Pm antimafia, grazie ai lavori della Direttissima.

Aziende infiltrate si occuparono in particolare del movimento terra e non a caso la linea rossa in cui la Piovra si fa più sentire è quella che corre lungo la stessa Direttissima, dalla Valdichiana di Foiano e Marciano fino al Valdarno, segnalato a suo tempo come zona di influenza anche da un ex questore di Arezzo come Giovanni Cecere Palazzo, quando a fine anni ’80 era a capo dell’anticrimine.

Nei decenni successivi la situazione è solo peggiorata. Qui camorra, Ndrangheta e Cosa Nostra non esercitano un potere intimidatorio quanto piuttosto un costante tentativo di influire sulle attività economiche. Lo ha scritto a suo tempo in «Gomorra» anche Roberto Saviano per il clan dei Casalesi. E qui spesso vengono a rifugiarsi i latitanti (nel novembre 2012 il calabrese Vincenzo Galimi fu preso a Cavriglia) o coloro che sono comunque a rischio di morte nei loro territori di origine, che siano di Ndrangheta o di camorra.

E qualche volta ci è scappato il sangue. Come nel caso del più misterioso fra i delitti di mafia mai consumato nell’aretino, l’omicidio dei fratelli Talarico, aprile 2006, massacrati a Terranuova con chiaro rituale mafioso. Si ritenne all’epoca che fossero coinvolti in una faida nel catanzarese, ma le indagini della Dda non sono mai venute a capo di niente. E quel giallo irrisolto è una sorta di metafora di quanto siano oscuri i tentacoli della Piovra in terra aretina.