L'hotel di 'ndrangheta: così il clan riciclava i proventi della droga. Blitz ad Anghiari

I carabinieri all’ex Oliver di Anghiari, denunciati calabrese prestanome e la figlia Albergo sotto sequestro, inconsapevoli gli attuali gestori. La struttura resta aperta

Carabinieri (foto di repertorio)

Carabinieri (foto di repertorio)

Arezzo, 25 maggio 2017 - In Valdarno, in Valdichiana, ora in Valtiberina. Il sequestro dell’hotel Oliver (che da poco ha cambiato nome in Anghiari Hotel), secondo gli inquirenti acquistato con i proventi del narcotraffico gestito da un clan di ’ndrangheta, riporta alla luce il tema delle infiltrazioni in provincia della malavita organizzata. Più che di mafia, finora si è sempre parlato di camorra, ad esempio una decina di anni da quando finirono sotto sequestro da parte della Guardia di Finanza a San Giovanni proprietà immobiliari di un famiglia casertana. Un altro blitz, con tanto di sequestro, avvenne a Marciano, in Valdichiana: era un piccolo villaggio messo su da un gruppo imprenditoriale di cui si sospettava la contiguità ad affiliati di camorra.

Insomma il fenomeno esiste anche perchè qui riciclare è relativamente facile e anche conveniente. L’economia resta abbastanza florida anche se in crisi, i riflettori sono lontani, investire denaro non proprio pulito è possibile senza troppi rischi. La storia delle infiltrazioni comincia negli anni 70 e 80 quando vengono mandati in soggiorno obbligato da queste parti boss di spicco della camorra e della ’ndrangheta.

Il secondo passaggio è la realizzazione da metà anni 80 della Direttissima ferroviaria. Il movimento terra e l’attività di costruzione lasciano più di uno spazio all’infiltrazione di ditte non proprio cristalline. Il che richiama una seconda generazione di aziende edili, che operano sia nel campo pubblico che in quello delle abitazioni private: capitali e operai di provenienza essenzialmente campana.

Stavolta nel caso di Anghiari, non si parla di camorra ma di ’ndrangheta e di lavaggio del denaro arrivato da un traffico di sostanze stupefacenti, avviato in Sudamerica e proseguito attraverso l’Olanda per poi raggiungere l’Italia come approdo finale. La famiglia Crupi, nel mirino della procura di Latina viene da Siderno, in provincia di Reggio Calabria, è radicata in Australia e secondo gli inquirenti avrebbe investito in mezza Italia acquistando immobili e terreni poi fittiziamente intestati a prestanome. Questo il caso aretino. Qui, a Sansepolcro, vive infatti Antonio Rodà, ormai del Borgo a tutti gli effetti essendo residente da una trentina d’anni.

E’ lui che nel 2004 acquista l’hotel Oliver che risulta di proprietà della «Anghiari srl», società con sede a Roma in cui Rodà sarebbe sostanzialmente una testa di legno. Il vero dominus, così emerge dall’inchiesta, è un altro, è Rocco Crupi, il personaggio colpito da un ordine di custodia cautelare in carcere insieme al fratello Vincenzo per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Per Rodà è scattata una denuncia e identico provvedimento è stato preso nei confronti della figlia Maria che collaborava nelle attività paterne.

Acquistato nel 2004, l’albergo anghiarese era stato poi affittato, al prezzo di 4500 euro al mese, a gestori di Arezzo, del tutto ignari di cosa ci potesse essere dietro. Sono rimasti di stucco quando ieri mattina si sono visti piombare i albergo i carabinieri del reparto operativo aretino per la notifica del provvedimento di sequestro. Non si sarebbero invece accorti di nulla i clienti che nell’hotel soggiornavano. L’attività, peraltro, prosegue con gli stessi gestori anche se sotto l’egida di un amministratore giudiziario nominato dal tribunale di Latina. Ma i 4500 euro di affitto non li verseranno più alla società in odore di ’ndrangheta ma al fondo unico di giustizia.