Graziano, i giorni della verità: domani in appello anche Dioni, il grande accusatore

Il Pm aretino a supporto di una collega fiorentina. La difesa pronta a chiedere in aula la rinnovazione del dibattito, in sede di eccezioni preliminari o dopo la requisitoria

L'assalto dei media a Gratien

L'assalto dei media a Gratien

Arezzo, 13 dicembre 2017 - Ci sarà anche il pubblico ministero Marco Dioni, lo stesso che ha ottenuto la condanna a 27 anni di padre Graziano, davanti alla corte d’assise. Questo giornale lo aveva già ipotizzato nel marzo scorso e adesso arriva l’ufficialità: Dioni affiancherà nell’aula dell’appello il pm fiorentino Luciana Piras, in funzione di supporto. E’ una circostanza che capita quando l’argomento del processo è così specialistico che ben difficilmente un sostituto procuratore generale fiorentino riesce ad impadronirsene nel breve tempo di un giudizio d’appello.

La presenza di Dioni è dunque la garanzia in aula della memoria storica di un procedimento che ha fatto scalpore e che ha tenuto inchiodati per mesi e mesi i cronisti di tutta Italia. L’appuntamento a Firenze è ormai imminente, si va in aula domani per il secondo grado di giudizio nei confronti dell’ex viceparroco di Ca’ Raffaello, il religioso congolese condannato per l’omicidio di Guerrina Piscaglia e la distruzione del suo cadavere.

Si professa innocente Padre Graziano, assistito in giudizio dall’avvocato Riziero Angeletti che ritiene di avere ancora molte carte da giocare. Angeletti presenterà in aula la richiesta di rinnovazione del dibattito, non si sa se in sede di eccezioni preliminari oppure dopo la requisitoria del pubblico ministero. Il passaggio consentirebbe di ascoltare di nuovo alcuni testimoni e l’attenzione di Angeletti si concentra soprattutto su due personaggi: la prostituta con cui Graziano avrebbe intrattenuto una frequentazione a Perugia, e il sacerdote nigeriano don Hilary Okeke cui era stato spedito per errore un sms dal cellulare di Guerrina.

E' stato in particolare quest’ultimo il vero ostacolo dinanzi al quale si è trovata la difesa del premostratense che adesso dovà scavalcare in appello. Si è risolto in definitiva sugli sms il primo round, sms che hanno inchiodato il frate al possesso del telefono della casalinga e quindi al delitto. In particolare, appunto, il messaggino delle 17,27 al sacerdote nigeriano, l’errore capitale che a Gratien è costato la condanna.

Quel telefonino, secondo la ricostruzione d’accusa, è stato tre mesi per le mani del religioso, fra maggio e luglio. E quindi chi se non lui può averla ammazzata? La prova starebbe negli sms che dal primo maggio partono dal cellulare della donna e che sembrano chiari tentativi di depistare le indagini.

Il resto, il delitto, è una pura deduzione: di Guerrina non si sono più avute notizie nè tracce. Non guidava, non si allontanava mai da sola, non sapeva neppure prendere un autobus: un silenzio così lungo si spiega solo con lo scenario più tragico. Sì, ma cosa è successo nei pressi della canonica di Cà Raffaello, tra le 13,43 e le 14,37 del primo maggio 2014?

Salvatore Mannino e Sergio Rossi