Fort Knox, svolta per le confische: il Pm chiede 36 milioni, le difese si fermano a otto

L'udienza parte oggi con prosecuzione al 26 ottobre e al 9 novembre e sentenza nell'ultima data fissata in calendario

Svolta per Fort Knox

Svolta per Fort Knox

Arezzo, 17 ottobre 2017 - Non per soldi ma per denaro. Come nel film con Jack Lemmon e Walter Matthau. Sì, ormai il senso del processo-udienza preliminare per Fort Knox è tutto qui, nei quattrini delle confische. Le pene, almeno quelle per i grossi calibri del più gigantesco traffico di oro in nero mai avvenuto fra l’Italia e la Svizzera, sono già decise da un pezzo, salvo conferma del Gup Marco Cecchi.

Le eventuali condanne dei pesci piccoli non riescono più ad appassionare nessuno, ma i soldi quelli fanno sempre discutere. Soprattutto nelle tre udienze che mancano alla conclusione: oggi, il 26 ottobre e il 9 novembre, che dovrebbe essere finalmente la data del verdetto. Soprattutto quando la differenza fra quanto vuole confiscare il Pm Marco Dioni (26 milioni) e quanto dovrebbe invece incamerare lo stato secondo le difese (appena 8) è così cospicua.

Quella di stamani, appunto, sarà un’udienza cardine per capire chi alla fine la spunterà. Dioni ha già calato le sue carte da settembre: tutto quanto è stato sequestrato all’inizio dell’inchiesta (novembre 2012) deve diventare oggetto di confisca, lo dicono le sentenze della Cassazione secondo le quali in situazioni del genere oggetto del reato non è solo il profitto del traffico ma quanto è transitato oltre il confine di Chiasso.

E secondo la stima della Finanza, in Svizzera sono approdati qualcosa come 180 milioni, anche se le rogatorie elvetiche sugli affari italiani di Petrit Kamata, il capo dei capi del contrabbando, dicono che abbia movimentato addirittura più di un miliardo.

I calcoli delle difese sono assai diversi. Il guadagno per grammo degli orafi protagonisti del traffico era di 1,60 euro per grammo. Di questi la metà era la commissione di Kamata, per cui ai singoli imprenditori rimanevano 0,80 euro lordi, da cui sottrarre le spese. Profitto netto intorno ai 0,35 euro a grammo. Bene, dicono gli avvocati, anche ammettendo che possa essere confiscato non il netto ma il lordo, si arriva al massimo agli 8 milioni di cui si accennava sopra. Il resto deve essere restituito agli imputati.

E’ questa la linea del Piave già indicata da Gustavo Pansini, principe del foro napoletano, che ha parlato all’ultima udienza e tornerà in scena anche oggi ed è anche la posizione sulla quale si attesta una memoria difensiva di alcuni legali aretini, fra i quali Roberto e Simone de Fraja. A ribadire i concetti dovrebbe essere stamani un altro noto avvocato napoletano, Carlo Malinconico.

Dovesse passare questa scuola di pensiero, per il Pm Dioni sarebbe una secca sconfitta. Lui ha puntato tutto sullo scenario di recuperare allo stato il più possibile di quanto era stato evaso negli anni del traffico che da Napoli raggiungeva Arezzo e da qui la Svizzera, anche a costo di non gravare troppo dal punto di vista delle pene, che non porteranno in galera nessuno degli imputati principali, neppure Kamata, neppure Michele Ascione, che dell’imprenditore elvetico di origini albanesi è stato l’ultimo referente aretino. La parola finale tocca al Gup Cecchi: sia nel sanzionare i patteggiamenti a due anni (pene modeste), sia nel decidere sulla reale entità delle confische. Lì si capirà chi ha vinto e chi ha perso nel processo Fort Knox.