Fiere orafe, Governo in pressing per cederle: Scalfarotto chiama il governatore

Anche Marco Donati favorevole all'operazione: ma per la Regione le garanzie ancora non bastano. Perplesso anche Dindalini: convoca la direzione provinciale sul caso

Andrea Boldi e Marco Donati

Andrea Boldi e Marco Donati

Arezzo, 22 gennaio 2017 - Ormai siamo al braccio di ferro, col governo che preme sulla Regione ma senza dissiparne i dubbi. A Roma il dossier mostre orafe lo vedono in maniera molto diversa da Firenze, dove il governatore Enrico Rossi martedì ha frenato sulla cessione a Ieg. No, ribattono il ministro delle attività produttive Carlo Calenda e soprattutto il suo sottosegretario Ivan Scalfarotto nelle cui deleghe rientra la questione: quest’affare s’ha da fare.

Anzi, nella capitale sono stupiti che non sia stato già chiuso, tanto che venerdì Scalfarotto in persona ha alzato il telefono e ha chiamato Rossi. Conversazione un po’ concitata, nel corso della quale il sottosegretario si sarebbe lamentato dello stop che ha impedito l’annuncio nel corso della Fiera di Vicenza. Il governo insiste per avere un solo interlocutore, un solo polo di mostre orafe col quale dialogare e al quale erogare risorse.

Inutile dire che il candidato unico è Italian Exhibition Group, Ieg appunto, nato dalla fusione fra Rimini e Vicenza, che avrebbe il monopolio dei principali eventi nelle capitali dell’oro. Eppure il governatore non molla, così come non molla il suo assessore, l’aretinissimo Vincenza Ceccarelli, che lo ha fiancheggiato nella decisione di rallentare il primitivo sì del titolare delle attività produttive Stefano Ciuoffo al progetto sponsorizzato dal presidente di Arezzo Fiere Andrea Boldi.

Sono loro a capeggiare il partito dei perplessi, cui si aggiungono anche il segretario provinciale del Pd, Massimiliano Dindalini, che ha convocato per domani la direzione del partito, e sul fronte delle categorie economiche l’Ascom e la Coldiretti, che hanno votato contro nella giunta della Camera di Commercio. Non è un no definitivo, piuttosto un non vedere chiaro sul futuro: chi ci garantisce, è il dubbio, che dopo il 2021 il gigante fieristico Rimini-Vicenza non rinuncerà alle fiere o non cercherà di spostarle altrove?

Al minimo, secondo questa scuola di pensiero, l’accordo è migliorabile di qui al 7 febbbraio. Dall'altra parte c’è il partito degli entusiasti, capeggiato da Boldi e dal presidente della Camera di Commercio Andrea Sereni, che con La Nazione è stato chiaro: il 7 febbraio si vota, anche contro la Regione, se è necessario. Al fronte del sì si sta aggiungendo anche il sindaco Alessandro Ghinelli, mentre è già convinto il deputato Pd Marco Donati: «Le imprese dicono che il contratto va firmato e in questo caso l’interesse delle imprese coincide con l’interesse pubblico», sgombra il campo.

Donati, che fa parte della commissione attività produttive di Montecitorio, spiega di essere in «contatto continuo» con Calenda e Scalfarotto: «Qui ci sono due opzioni. O i soci pubblici si fanno carico di un altro aumento di capitale, ma non mi pare ne abbiano voglia, oppure è questa la soluzione che salva le Fiere. Se a qualcuno non va bene nè il piano A nè il piano B, ci dica quale è il suo piano C. Fermi così non si può restare».

Il deputato Pd non teme una spaccatura del suo partito: «Qui la politica non c’entra, le categorie e le imprese mi sembra che siano tutte d’accordo. E poi anche la Regione ha messo la sua partecipazione fra quelle non strategiche. Dobbiamo avere il coraggio di fare come a Vicenza, dove non hanno avuto paura di accontentarsi di una quota del 19% pur di creare con Rimini il secondo polo italiano. Guardate la Germania: 8 poli ma robusti, 40 enti fiera piccoli e inefficienti non ce li possiamo più permettere».

I fronti insomma sono ben delineati. Ora c’è tempo fino al 7 febbraio per evitare una clamorosa spaccatura, la Regione e alcuni pezzi di politica contro tutti o quasi, e una conta dei voti che lascerebbe strascichi amari.

di Salvatore Mannino