Fallimenti, sul tribunale l'ombra dell'accorpamento: ma prima del voto tutto fermo

Sono aule che lavorano a tutto ritmo: solo nel 2017 hanno dichiarato 97 fallimenti e le procedure pendenti sono 500. Il piano predisposto dal ministero, le altre ipotesi

Assolto cinqunatenne accusato di violenza sessuale

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Arezzo, 11 febbraio 2018 - Nelle prossime settimane, c’è da scommetterci fin da ora, non succederà niente. Un governo in scadenza non si prende certo la responsabilità di dipanare una matassa così complessa, nè c’è una sola forza politica disposta a scontentare potenziali votanti in piena campagna elettorale. L’ombra lunga tuttavia resta. Quella del tribunale fallimentare che emigra verso Firenze, un altro servizio pubblico in discussione dopo la sede del 118, quella della Usl, della Provincia e persino della Camera di commercio.

La legge delega che affida al governo il compito di riorganizzare il settore c’è dal 19 ottobre, la proposta della commissione presieduta da un magistrato civile molto stimato, Renato Rordorf, presidente aggiunto di cassazione, anche. Per la Toscana prevede l’accorpamento in tre uffici giudiziari specializzati, a Firenze (che comprende anche Arezzo e Siena), Pisa (con Livorno e Grosseto) e Lucca, cui sarebbero affidate Prato e Pistoia.

Lo stesso giudice delegato ai fallimenti (che non si chiameranno più così ma liquidazioni giudiziarie con la sparizione anche del termine «fallito», che ancora fa cattiva reputazione per molti) Antonio Picardi ha annunciato la rivoluzione in un convegno. Da settimane, dunque, i professionisti del settore sono sul piede di guerra a suonare il campanello d’allarme. Un po’ dovunque in Italia, patria dei campanili in cui nessuno vorrebbe mai perdere niente, da Terni a Massa, ma soprattutto ad Arezzo e Prato. Le due realtà produttive più importanti della Toscana dopo Firenze, che perderebbero la loro autonomia.

C’è di mezzo la questione delle piccole patrie, c’è magari l’egoismo di avvocati e commercialisti che temono di perdere una redditizia sinecura (le curatele fallimentari, spesso affidate a professionisti locali, garantiscono guadagni sicuri) ma ci sono anche interessi più generali. Quelli che il presidente dell’ordine degli avvocati Piero Melani Graverini definisce come un vulnus alla «giustizia di prossimità» e che il presidente dei commercialisti, Giovanni Grazzini, si incarica di spiegare più specificamente. Gli imprenditori rischiano di fare i pendolari ogni volta che si trovano coinvolti in una crisi fallimentare o in un concordato, lo stesso i dipendenti o i creditori.

Per dare un’idea delle dimensioni, basti dire che solo nel 2017 il tribunale di Arezzo ha dichiarato 97 fallimenti e avviato una decina di concordati. In totale le procedure pendenti sono almeno cinquecento, con nomi eccellenti. Tra gli altri vale la pena di ricordare Banca Etruria, UnoAerre e l’ultima arrivata Del Tongo.

Che il settore vada riorganizzato lo dicono le cifre: la durata media di una procedura fallimentare è di sette anni e mezzo, troppi. Ad Arezzo sono un po’ di meno, sei, ma sempre tanti. Del resto, dei due giudici fallimentari, dal 1 febbraio ne resta uno solo, Picardi appunto, che rischia di soffocare sotto il carico di lavoro. Ma davvero privare di un suo tribunale la provincia più importante del manifatturiero toscano (valori pro-capite) è la via giusta? Oppure sarebbe più opportuno accorpare in maniera diversa, magari con Arezzo sede per la Toscana del sud e Prato con la vicina Firenze? E’ tutto da discutere.

Intanto il ministro alla giustizia Orlando e il suo sottosegretario Cosimo Ferri, capolista del centrosinistra proprio qui, al proporzionale della Camera, calmano le acque: per ora non se ne fa di niente. Gli altri candidati, da Marco Donati del Pd, a Maurizio D’Ettore del centrodestra e persino Chiara Gagnarli dei 5 Stelle, per una volta d’accordo con tutti gli altri, alzano le barricate. Si parla già di un emendamento nella manovrina d’estate. Ma l’ombra di un altro pezzo di istituzioni a rischio rottamazione resta.