Ex Etruria: "Consob sapeva tutto". Così il ricorso, decisivo il voto di Vegas

In appello 9 ex amministratori: la commissione di vigilanza si spaccò in 2 punti su 3: le multe partirono perché in parità prevalse il voto del numero uno

Protesta degli azzerati

Protesta degli azzerati

Arezzo, 8 ottobre 2017 - Fu del presidente di Consob Giuseppe Vegas il voto decisivo per irrogare le sanzioni di 2,7 milioni nei confronti degli ex vertici di Etruria. In due punti su tre: il 21 e 22 sui prospetti informativi riguardanti l’aumento di capitale del 2012 e il collocamento dei prodotti finanziari della banca (le famigerate subordinate). Nel terzo punto, invece, il 23 relativo al collocamento vero e proprio, la commissione di vigilanza di Consob decise il 12 luglio scorso con una maggioranza di 3-1.

Negli altri casi il voto era finito due a due e a quel punto prevalse il presidente che in situazione di parità conta doppio. E’ il retroscena che emerge a margine del ricorso presentato nei giorni scorsi da 9 ex amministratori di Bpel, soprattutto sindaci, con in testa il presidente del collegio dei revisori Massimo Tezzon, per ironia della sorte segretario di Consob prima di assumere il suo incarico in Etruria.

Ma questa è soltanto una nota di colore, perchè il ricorso alla corte d’appello di Firenze si basa piuttosto su un altro argomento:la commissione per le società e la borsa, che ha deciso le multe partendo dal presupposto di non aver mai avuto notizia della drammatica situazione finanziaria di Bpel fino al maggio 2016, in realtà sapeva tutto almeno dalla fine del 2013 se non da prima.

In questo senso diventano decisivi i documenti che anche La Nazione ha pubblicato nei mesi scorsi: la nota con cui Banca d’Italia il 5 dicembre 2013 (ricezione il 6, come da timbro ufficiale) trasmette a Consob la lettera inviata dal governatore Visco al Cda di Etruria (l’istituto non è più in grado di andare avanti autonomamente, deve aggregarsi a un alleato di «elevato standing») e la lettera, firmata dal capoispettore di via Nazionale Emanuele Gatti, inviata ancora da Bankitalia il 30 ottobre 2013 (ma ricevuta il 5 dicembre), in cui fra l’altro si sollevano dubbi sui tassi di rendimento delle subordinate in via di collocamento, allineati a quelli dei titoli di stato.

A tali carte gli avvocati dei ricorrenti aggiungono una serie di altre comunicazioni da Banca d’Italia a Consob che partono dall’ottobre 2012 e che vanno dalle prime richieste di rafforzamento dei ratios patrimoniali di Bpel alla sollecitazione di maggiori accantonamenti (autunno 2013) in seguito all’ispezione in corso. D’altronde, argomentano i legali degli ex amministratori (ci sono anche alcuni consiglieri d’amministrazione, da Claudio Salini all’aretino Andrea Orlandi), c’era un protocollo che impegnava Consob e Banca d’Italia al reciproco scambio di informazioni.

Quindi delle due una: o via Nazionale non ha comunicato i dati in suo possesso (e sarebbe una violazione di legge) o Consob, appunto, sapeva fin dal 2012-2013, altro che maggio 2016. Il che renderebbe prescritte le eventuali mancanze degli ex amministratori. E poi, spiega sempre il ricorso, nel 2013, quando avvenne il collocamento delle subordinate ora oggetto di sanzione, tali titoli non erano così rischiosi come in seguito.

A legislazione vigente e sulla base della prassi vigente, erano sempre stati rimborsati, anche in caso di default. Fu il bail del 2015 a cambiare le carte in tavola. Ma prima era giustificato il profilo di medio e non alto rischio con cui i bond furono emessi.