Etruria, il pm Rossi scrive a Casini: ecco i passaggi. Perché indagati gli ex vertici 2013

I punti caldi dell'audizione, le domande del parlamentare Villarosa, le risposte del Pm sugli indagati. "Non essere imputati non significa non essere indagati"

Roberto Rossi

Roberto Rossi

Arezzo, 4 dicembre 2017 -  "Ho detto tutto alla commissione di giovedì": era stata la prima reazione del Procuratore Roberto Rossi di fronte alla bufera politica seguita alla conferma di un'indagine ancora in corso sul falso in prospetto. Un'indagine che riporta prepotentemente le vicende di Banca Etruria al centro dell'agenda politica: nel filone di inchiesta, aperto da mesi,  sono indagate 21 persone, ai vertici dell'istituto all'epoca in cui furono collocate le due emissioni di obbligazioni subordinate del 2013. Tra loro anche Pierluigi Boschi, padre del sottosegretario Maria Elena, allora membro del Cda. L'ipotesi di reato è falso in prospetto e ricorso abusivo al credito.

Dopo la risposta telegrafica il Pm Roberto Rossi non si ferma: perché il grosso lo mette nero su bianco in sede istituzionale e cioè in una lettera al presidente della commissione Banche Pier Ferdinando Casini, al centro proprio la sua posizione sul caso di Pier Luigi Boschi e sulla nuova indagine a suo carico.

Un passaggio del virgolettato dell'audizione di Rossi
Un passaggio del virgolettato dell'audizione di Rossi

Casini ha trasmesso in via riservata la lettera ai componenti della commissione.  Siamo comunque in grado di proporvi il contenuto della lettera stessa nella quale Rossi  dice a Casini di considerare offensivi gli addebiti che gli sono stati mossi, Dice anche di avere puntualmente risposto a tutte le domande e trascrive un prospetto con gli orari delle domande e delle risposte attualmente nel mirino della politica.

Ora 1,11 (dall'inizio dell'audizione)

Villarosa (M5S) "Volevo anzitutto procuratore una precisazione, forse ho capito male io, lei ha detto che si sono 14 persone del cda che non risultano indagate

Rossi: no, rinviati a giudizio

Villarosa: "Quindi potrebbero essere indagati?"

Rossi: "Sì" (e fa cenno di sì con la testa)

Villarosa: "Ok"

Ore 3,18

Rossi: "Cerco di... (interruzione) cerco di essere più chiaro possibile, qui non stiamo parlando di indagati, stiamo parlando di rinviati a giudizio..."

Ora 3,20

A questo punto il procuratore, visto che le domande vertono sul falso in prospetto,  chiede l'audizione secretata in quanto il fascicolo aperto è nella fase delle indagini preliminari e quindi coperto dal segreto istruttorio. Nessuno rivolge domande su chi siano gli indagati.

La lettera di Rossi spiega poi a Casini che l'estratto dimostra come lui non ha nascosto nulla circa la posizione del consigliere Pierluigi Boschi, ma che ha ribadito che lo stesso non risultava nel processo per bancarotta  in corso mentre per gli altri procedimenti  aveva precisato che non essere imputati non equivaleva a non essere indagati. 

Alla lettera segue quasi a stretto giro di posta la reazione del destinatario, lo stesso Casini. La lettera inviata dal Pm di Arezzo Roberto Rossi  "fornisce una risposta chiara ed esauriente", afferma Casini, precisando che "tutto il resto afferisce ai giudizi politici che ciascun gruppo ha il diritto di formulare".

Casini che comunque assicura che oggi in apertura di commissione si riparlerà della lettera ricevuta: alcuni membri della commissione sollecitano che Rossi venga richiamato a integrare la prima audizione. E il magistrato si è detto naturalmente disponibile a qualunque richiesta arrivi dal Parlamento.

Tra gli interventi che rompono il fronte c'è quello dell'esponente dei 5 Stelle Villarosa, protagonista dello scambio con Rossi forse decisivo nel quadro dell'inchiesta al centro dell'attenzione. Dà atto al procuratore Rossi di «avere ragione, tutti abbiamo capito che c’erano indagati. La colpa è del maquillage politico del Pd». Quindi conferma di aver interpretato nella stessa direzione indicata dal magistrato il suo sì alla domanda se potrebbero esserci altri indagati.

COSI' L'INCHIESTA. Ventuno indagati, in sostanza tutto l’ex vertice della fu Banca Etruria nel periodo in cui furono collocate le due emissioni di obbligazioni subordinate del 2013, a luglio e in autunno. L’accusa per l’ex presidente Giuseppe Fornasari, l’ex direttore generale Luca Bronchi, quattordici membri del Cda rimasto in carica dalla primavera 2011 al maggio 2014 e cinque sindaci è di falso in prospetto e ricorso abusivo al credito.

Accusa quest’ultima davvero inedita per una banca, cioè per un istituto che il credito per mestiere lo eroga. Ma poi vedremo perchè nello scenario ipotizzato dal pool di Pm coordinato dal procuratore Roberto Rossi in questo caso sia la banca la sospettata di aver ottenuto abusivamente il credito, ossia i 110 milioni entrati in cassa con le subordinate e andati a rinsanguare un patrimonio di vigilanza quantomai esangue. La conferma delle indiscrezioni che erano trapelate ieri mattina arriva dalle richiesta di proroga delle indagini preliminari che lo scorso 24 agosto i Pm del pool Andrea Claudiani e Julia Maggiore hanno indirizzato al Gup.

Dandone avviso, come prevede la legge, anche agli indagati. I reati appunto sono il falso in prospetto, ipotesi sulla quale in procura si lavora da mesi, e il ricorso abusivo al credito, non la bancarotta di cui qualcuno aveva parlato in un primo momento e che è una contestazione impossibile in questo caso, perchè non c’è distrazione di denaro da Bpel verso terzi ma semmai il contrario, ossia soldi che entrano in cassa, dai risparmiatori alla banca.

L’inchiesta parte più o meno un anno fa quando la Consob avvia il procedimento sanzionatorio che poi porterà in agosto all’erogazione di multe per 2,7 milioni. I destinatari sono esattamente gli stessi ora indagati, ossia la tolda di comando di Etruria nel 2013, compresi anche i due vicepresidenti Giovanni Inghirami e Giorgio Guerrini, i futuri vice Alfredo Berni, allora all’opposizione, e Pierluigi Boschi, semplice consigliere senza deleghe, e l’ultimo presidente Lorenzo Rosi.

Quasi in contemporanea, Consob invia il dossier anche in procura per gli eventuali risvolti penali. Il primo reato ipotizzabile è appunto il falso in prospetto, ossia lo scenario (non la certezza) che le informazioni fornite nel prospetto inviato a Consob fosse false o perlomeno incomplete. Ne consegue la seconda ipotesi, ossia il ricorso abusivo al credito: se il prospetto autorizzato da Consob e sulla base del quale i subordinatisti hanno sottoscritto i titoli è almeno in parte inesatto, i soldi entrati in banca con le subordinate potrebbero essere stati raccolti abusivamente.

E’ su questa base che in primavera gli ex vertici di Etruria vengono iscritti nel registro degli indagati. L’inchiesta tuttavia ha avuto nel frattempo una sua evoluzione che ha portato a centrare l’attenzione anche sulle eventuali mancanze nella vigilanza da parte di Consob e Banca d’Italia. Di mezzo ci sono la lettera con cui via Nazionale ha informato la commissione di borsa sul diktat del governatore al cda di Bpel del 3 dicembre 2013 (dovete aggregarvi a un istituto di elevato standing) e altre carenze nelle comunicazioni Consob-Bankitalia. I Pm stanno anche verificando se il prospetto sia stato varato dal Cda o da altri organi interni. E’ evidente che il prosieguo delle indagini dipende anche da quello. Il lavoro della procura sarà ancora lungo.