Etruria, blitz dal Castro: scavato un cunicolo di 30 metri, un mese di lavoro

Ladri traditi da un cortocircuito: un operaio della manutenzione scende e capisce tutto dall'impalcatura abbandonata. Restano sul posto gli attrezzi da lavoro

Vigilantes davanti a Banca Etruria

Vigilantes davanti a Banca Etruria

Arezzo, 22 aprile 2017 - Li ha traditi l’impalcatura (piccola) che avevano messo in piedi fra le fondamenta e il pavimento. L’addetto alla manutenzione di Banca Etruria è sceso nel sotterraneo per verificare un cortocircuito (non si capisce se innescato dagli stessi banditi) e ha trovato i tubi, insieme agli attrezzi da lavoro che i soliti ignoti avevano lasciato per terra. Da lì a dare l’allarme e chiamare la questura è stata questione di minuti.

Nella tarda mattinata di giovedì. Ci hanno pensato poi i poliziotti della Mobile (e della Scientifica) e i vigili del fuoco a scoprire il cunicolo attraverso il quale il gruppo d’assalto era penetrato fin dentro le viscere della banca, esattamente sotto la sala conta, a due passi dal caveau in cui è conservato il tesoro di Banca Etruria, un centinaio di milioni in lingotti, il più grosso deposito d’oro del paese dopo quello della Banca d’Italia, obiettivo capace di suscitare le attenzioni di una banda di superprofessionisti.

Eh sì. Solo gente del mestiere (ma di quella col pelo dello stomaco parecchio folto) poteva pensare a un piano come quello che è stato prima studiato (probabilmente per mesi) e poi messo in atto nei minimi particolari, con una perizia tecnica da uomini del ramo e una tecnologia quasi sicuramente all’avanguardia, forse Gps, forse persino i laser. E dell’acribia della gang dice tutto appunto il cunicolo di trenta metri scavato con pazienza a partire dal Castro.

Già, perché il torrente nel quale i malviventi sono penetrati dal Ponte alla Parata, al limite della zona Giotto, ad almeno 800 metri di distanza, non passa (piombato da decenni, in alcuni tratti da secoli) esattamente sotto la sede storica di Bpel ma un po’ più a monte. Da quel punto, la banda ha piano piano realizzato un «buco» alto quasi due metri, che consente a una persona di passare chinando appena il capo.

Una via d’accesso perfetta fin dentro i meandri che portano alla soglia del caveau. Per chiunque sia entrato almeno una volta nella sede storica di Banca Etruria, è facile capire: il deposito si trova sulla sinistra del grande salone liberty decorato da Galileo Chini, proprio dietro il vano che in Corso Italia ospita il bancomat. Lì dentro c’è il cuore della capitale dell’oro: tonnellate di lingotti protetti dai sistemi d’allarme più impenetrabili.

E lì miravano i banditi, con un blitz che se fosse riuscito sarebbe entrato negli annali della storia criminale, non solo italiana. Maxi-furto o rapina? Gli inquirenti non si sbilanciano, anche se propendono per il primo. La gang ha lavorato a realizzare il piano con tranquillità e anche determinazione. Quanto ci hanno messo? Qualcuno dice che nella zona del Ponte alla Parata i residenti avessero notato movimenti strani da venti giorni, forse un mese.

Chi indaga dice che non c’è la certezza che fossero loro, gli uomini d’oro, ma che sì, è una pista da prendere in considerazione. Del resto, se penetrare nel Castro è solo questione di stomaco e di resistenza alla puzza e ai topi, scavare un cunicolo di trenta metri non è cosa che si possa fare in 24 ore, tanto più che non si poteva certo adoperare una talpa meccanica, ma solo gli attrezzi portati da fuori, attraverso il varco della Parata.

L’ultima coincidenza: davanti alla Parata c’è la scuola elementare Pio Borri, la cui uscita è regolata due volte il giorno, all’una e alle sedici, dalle pattuglie della polizia municipale. Ci vuole faccia tosta per lavorare a un blitz tanto romanzesco negli intervalli in cui gli agenti non c’erano.