"E45, la crepa c'era dal 2011": allarme social, e la foto finisce in Procura

Inchiesta dopo la voragine apertasi sull'asfalto. Due le piste: un cedimento del terreno o l'asfalto corroso da una miscela di acqua e sale

La voragine e la foto del 2011

La voragine e la foto del 2011

Arezzo, 16 febbraio 2018 - La foto (la vedete nel riquadro sopra) l’hanno postata su Facebook gli automobilisti della chat «Vergogna E45». Risale, secondo la cronologia di Google map, al luglio 2011, e rappresenta la stessa piazzola in cui la superstrada è franata clamorosamente. Le crepe, come si può vedere, c’erano già sei anni e mezzo fa. Solo un caso o ha un’attinenza con quanto è successo? La Nazione, nel dubbio, ha già trasmesso l’immagine alla procura che indaga.

Toccherà agli esperti del procuratore Roberto Rossi, che già ha un’inchiesta aperta sulla E45 (siamo alla soglia delle richieste di rinvio a giudizio) stabilire se c’è un rapporto fra il crollo e l’asfalto già crepato del passato. Potrebbe essere il classico segnale premonitore ignorato da chi doveva vigilare.

Come nel caso della diga di Montedoglio, un cui concio venne giù nella notte di tregenda del 29 dicembre 2010. Anche allora c’era stata, anni prima, una crepa che i tecnici dell’ente irriguo si limitarono a stuccare, come se fosse una linea lungo una parete. E’ appunto per quello che il direttore dell’epoca e un suo ingegnere sono ancora a processo.

Il procuratore Rossi, intanto, aspetta per oggi l’informativa della Polstrada sulla frana. Dovrebbe ipotizzare, secondo alcune anticipazioni, due possibili scenari: da un lato un cedimento strutturale innescato dalla miscela micidiale di acque meteoriche e sale sparso contro il gelo che insieme corrodono l’asfalto e lo fanno cadere a pezzi (una delle contestazioni appunto dell’inchiesta già aperta); dall’altro uno smottamento del terreno che è la tesi sostenuta dagli uomini dell’Anas.

Nel primo caso, il pezzo di superstrada venuto giù a Pieve Santo Stefano potrebbe trasformarsi in un’imputazione suppletiva dell’indagine in corso, nel secondo invece potrebbe dare la stura a un nuovo fascicolo che andrebbe a lambire le responsabilità di chi la E45 l’ha progettata e costruita quasi mezzo secolo fa (prima, fanno notare in procura, ci deve accertare della natura del terreno e della sua solidità) o la classica culpa in vigilando: qualcuno insomma che ha sottovalutato l’allarme, come per Montedoglio.

Nel frattempo restano due punti fermi. Innanzitutto l’Anas garantisce che non ci sono problemi di sicurezza della circolazione, tanto che la E45 non è stata chiusa. Del resto, nel programma di restyling della superstrada che è già stato avviato c’è il rifacimento dei viadotti e in generale del percorso del tratto toscano e dell’intero tracciato, da Orte a Ravenna, per il quale sono già stati stanziati decine di milioni.

C’è poi l’inchiesta già in corso del procuratore Rossi (un’altra in parallelo era stata avviata a Forlì dall’allora capo dei Pm locali, Sergio Sottani) che si appresta a diventare processo. La richiesta di rinvio a giudizio, già prevista per l’estate, era stata rinviata dopo che alcuni degli indagati avevano chiesto di essere interrogati. Ma le giustificazioni (di solito riguardano le competenze che sarebbero sempre di qualcun altro) non hanno convinto troppo chi indaga.

Probabilmente, un ex direttore del compartimento Anas di Firenze, e quattro suoi dirigenti dovranno presentarsi all’udienza preliminare davanti al Gip. Ma al di là dei reati, la E45 resta uno scandalo nazionale, la frana di Pieve è solo l’ultima tessera di un puzzle infinito.