Crac Etruria: "A Sacci concessi 60 milioni in un giorno", relazione della Finanza

E' uno dei buchi più clamorosi nel bilancio. Ungioco di specchi sulle ipoteche: gli stesi stabilimenti ne erano stati gravati più volte

Ex Sacci

Ex Sacci

Arezzo, 3 gennaio 017 - Di tutti gli affari sballati della vecchia Banca Etruria è il più sballato: 62 milioni di finanziamenti mai rientrati, 49 dei quali sono già stato accantonati a perdita, di gran lunga la maggiore sofferenza di Bpel prima del crac. Il credito è quello concesso a uno dei giganti italiani del cemento, il gruppo Sacci, poi finito in concordato fallimentare, di cui era alla guida Augusto Federici, che è stato anche consigliere d’amministrazione della banca fino al 2011 e che è adesso accusato di bancarotta fraudolenta dai Pm del pool che indaga su Etruria, insieme ai colleghi del Cda (tutti quelli presenti alla seduta) che deliberarono sulla pratica.

Fra gli altri spicca il nome di Rossano Soldini, che è stato uno dei critici più duri della vecchia gestione ma che in quell’occasione, come lui stesso ha ammesso in un’intervista a La Nazione, non se la sentì di esprimere un voto contrario avendo davanti in consiglio il diretto interessato, ossia Federici. Eppure, secondo la relazione finale della Guardia di Finanza, depositata dopo la chiusura delle indagini e che La Nazione è in grado di anticipare, motivi per opporsi c’erano.

Uno soprattutto: almeno una parte dei crediti era coperta da un’ipoteca su immobili già gravati di garanzie per ottenere precedenti finanziamenti. Ipoteche, dunque, dal secondo al quarto grado, come a dire che la banca, in caso di insolvenza (come poi effettivamente avvenne) avrebbe dovuto rifarsi in successione sugli stessi beni. Una specie di gatto che si morde la coda.

La storia è quella di un credito di ben 205 milioni che un pool di banche, fra cui c’era anche Etruria, eroga nel 2008 a Sacci, e dunque a Federici, per consentirgli l’acquisizione di Lafarge Italia, altro gruppo cementiero grazie alla fusione col quale Sacci contava di consolidare la propria posizione nel settore. Partecipano all’operazione Bpel con 60 milioni, Agrileasing con 40, Efibanca (capofila) con 30, Cariparma con 25, Deutsche Bank con 7, Mediocreval e Banca Popolare di Sondrio con 10.

Il finanziamento viene diviso in due linee: la linea A per un totale di 100 milioni (Etruria ce ne mette 28) con durata decennale e la linea B, per 105 milioni complessivi, che è invece un prestito ponte in scadenza nel 2010, destinato a essere sostituito dalle linee C (100 milioni) e D (5 milioni) a loro volta decennali. Attenzione alle garanzie, però. Per la linea A Sacci offre ipoteche sugli stabilimenti di Greve, Cagnano Amiterno, Livorno, Castelraimondo e Corsalone (Bibbiena). Sono gli stessi immobili ipotecati anche per la linea C, garantita pure dal complesso immobiliare ex Lafarge.

Insomma, una sorta di gioco degli specchi, nel quale sui medesimi stabilimenti vengono accese ipoteche di grado successivo, per un valore complessivo (ci sono anche altre garanzie) di 338 milioni sugli asset Sacci e 253 per gli asset ex Lafarge. Paiono sufficienti a coprire un credito di 205 milioni, ma il mercato del cemento va in crisi con la grande recessione post-2008 e Sacci si trova in braghe di tela. Il risultato è che il finanziamento di 62 milioni non rientrerà mai in Bpel, alimentando il mare magnum di 2,7 miliardi di crediti deteriorati sotto il cui peso è affondata la banca.

Secondo la relazione del liquidatore della vecchia Etruria, Giuseppe Santoni, i prestiti a Sacci erano stati erogati nel 2006 con un’istruttoria di appena due giorni e nel 2008 in un solo giorno. Ma la Finanza ha trovato tracce di precedenti istruttorie che correggono questa ricostruzione. Tutto regolare invece per quanto riguarda il conflitto di interesse di Federici membro del Cda: a deliberare è sempre stato il consiglio all’unanimità, come richiesto dalla legge. Se anche un solo amministratore avesse votato contro, sarebbe saltata ogni cosa. Invece si ritrovano tutti insieme accusati di bancarotta.

di Salvatore Mannino