Chimet: tutto prescritto, ecco i motivi: «Sentenza d’appello mal motivata»

Reati estinti, altrimenti un nuovo processo. L’azienda: caso da chiudere prima

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Arezzo, 5 agosto 2017 - Non fosse stato tutto prescritto, la Cassazione avrebbe probabilmente annullato con rinvio. Ordinando alla corte d’appello di Firenze di celebrare un nuovo processo, il quarto (compreso appunto quello al Palazzaccio) sul caso Chimet, la maxi-indagine che è andata avanti per quasi dieci anni dal primo blitz della Forestale nello stabilimento di Badia al Pino, risalente addirittura al febbraio 2008, quasi un’altra era geologica. Invece, come la stessa suprema corte aveva stabilito un paio di mesi fa con un verdetto di cui adesso arrivano le motivazioni, i reati (quelli che erano rimasti e di cui la difesa continua a contestare l’esistenza) sono tutti estinti.

Erano in gran parte contravvenzioni e l’inesorabile trascorrere del tempo le ha cancellate, così come ha cancellato l’abuso d’ufficio per il quale era stato condannato in appello (dopo l’assoluzione in primo grado) il dirigente della Provincia Patrizio Lucci che aveva firmato a suo tempo le autorizzazioni in deroga all’incenerimento. Reato che si era portato dietro la condanna del patron Sergio Squarcialupi per la mancanza di Via (la valutazione di impatto ambientale). Bene, dice adesso la terza sezione di Cassazione presieduta da Luca Ramacci, il fatto era già prescritto al momento della sentenza d’appello, nel 2014, ma i giudici fiorentini avevano comunque mal motivato il verdetto di colpevolezza contro Squarcialupi. Non sulla mancanza di Via, che è un dato oggettivo, ma sull’elemento soggettivo del reato: il patron potrebbe non aver avuto la percezione di violare la legge. Lo stesso vale per Patrizio Lucci: la sentenza di condanna per abuso d’ufficio non è sufficientemente motivata sotto il profilo del dolo intenzionale e dell’ingiusto profitto procurato all’azienda.

E’ l'equivalente di un’assoluzione? Non necessariamente. Se la cassazione non lo avesse ritenuto inutile per la prescrizione, ci sarebbe stato forse un altro processo dall’esito imprevedibile. Ma questa è la storia del se, di cui come è noto sono piene le fosse. Le contestazioni rimaste in piedi dopo la raffica di assoluzioni in primo grado (compresa la pià grave, ovvero il disastro ambientale) erano i capi A e B (l’incenerimento in mancanza di Via e quelli relativi all’omessa comunicazione dei fanghi rossi a Badia al Pino e in una vecchia discarica di Albergo (tutti con Squarcialupi come imputato) e l’abuso d’ufficio di Lucci. Per ognuna i giudici del Palazzaccio rilevano pesanti difetti di motivazione nella condanna d’appello.

Ma è la prescrizione che chiude la partita. Restano le statuizioni civili per le quali si rinvia a un secondo giudizio d’appello civile, anche se la difesa fa notare che non potrà riguardare l’incenerimento senza Via, il più a rischio quanto a eventuali risarcimenti. Per la nota ufficiale di Chimet è una «conclusione positiva», avrebbe potuto finire già tutto «in primo grado, se non già per la gran parte delle ipotesi, durante le indagini».