Blitz Etruria, neanche un'impronta sugli attrezzi: il colpo da professionisti

I ladri hanno agito nella massima cautela: sembrano esclusi aretini "stanziali" o professionisti in arrivo dall'est

La vigilanza intorno a Banca Etruria

La vigilanza intorno a Banca Etruria

Arezzo, 23 aprile 2017 - Non hanno lasciato neppure un’impronta. Quelli della polizia scientifica ne sono quasi certi, dopo aver esaminato gli attrezzi da lavoro con i quali la banda dei topi dell’oro è arrivata fin quasi alle soglie del caveau di Banca Etruria, sotto la sede storica all’angolo del Corso. E se persino per impugnare le vanghe hanno usato i guanti, è difficile ipotizzare che siano rimaste gocce di sudore o macchie di sangue dalle quali ricavare una traccia di Dna. La speranza è sempre l’ultima a morire, magari persino i banditi più audaci ci lasciano le penne per una minuzia, ma l’impressione è che le indagini della squadra mobile siano tutte in salita.

A lungo termine, come si lasciano sfuggire fonti investigative informali. SONO particolari che la dicono lunga sulla qualità del gruppo d’assalto che se non fosse stato per un controllo quasi fortuito avrebbe potuto entrare nel deposito d’oro più ricco del paese dopo quello di Banca d’Italia: almeno cento milioni in lingotti, un colpo destinato a far impallidire non solo tutti i precedenti aretini (ridotti a blitz da lillipuziani) ma persino i grandi raid che hanno fatto la storia del crimine, dalla gang delle fogne che ripulì il caveau della Societè Generale di Nizza nel 1975 (clan dei marsigliesi, bottino di 30 milioni di euro attuali) agli assalitori del treno postale Glasgow-Londra nei lontani anni ’60. Quella rimasta beffata dal cortocircuito che ha spinto nei sotterranei un addetto alla manutemzione deve essere una banda di quel livello lì.

Certamente non aretini, perchè nessuno da queste parti ha uno spessore criminale del genere, ma nemmeno i classici banditi dell’est, che si caratterizzano piuttosto per la violenza, anche gratuita, adoperata, come l’Igor di Budrio o le tante gang delle rapine in villa. No, questi erano artisti del crimine, nettamente differenziati da chi si arrangia con la forza e l’intimidazione. Superprofessionisti in tutti i sensi.

Perchè ci vuole stile criminale solo a pensarlo un colpo del genere. E dopo averlo pensato, bisogna studiarlo per mesi e poi metterlo in atto con pazienza, districandosi fra le cartine topografiche dell’Arezzo sotterranea, le foto aeree, i rilievi via via che si procede. Basta un solo sbaglio per fare la fine dei Soliti Ignoti, quelli del film, che notoriamente si ritrovarono a mangiare pasta e ceci in cucina invece che nella stanza della cassaforte. Questi invece erano arrivati esattamente dove volevano arrivare. Sotto la sala conta della banca, quella che fa da anticamera al caveau.

E magari si preparavano ad agire proprio in questo fine settimana, oppure nei ponti del 25 aprile e del 1 maggio. A meno che, scenario residuale ma che gli inquirenti non scartano, non stessero preparando una rapina con tanto di irruzione armata. Di certo, dopo essere penetrati nel Castro dal Ponte della Parata per circa 800 metri, hanno scavato un cunicolo di 20-30 metri praticamente a mani nude, armati solo di vanghe e piccone, per evitare qualsiasi rumore capace di far scattare l’allarme.

I sensori, anzi, li avevano probabilmente schermati per evitare rischi. Roba da aristocrazia del crimine. Che magari ha potuto contare su un basista aretino, qualcuno che conosceva bene i sotterranei del centro e la mappa della sede storica, con le localizzazioni di caveau e altri locali. Chi indaga tende a escludere una talpa in banca, il resto è un enigma avvolto in un mistero.