Operaio preso con un etto d'oro rubato: dalla fabbrica spariti 4 chili in tre anni

Arrestato in flagranza dai carabinieri, il giudice lo manda ai domiciliari. Una verga in auto. Ora indagini per capire se esistano legami con gli altri ammanchi

Arresto dei carabinieri

Arresto dei carabinieri

Arezzo, 25 febbraio 2018 - Lo hanno preso col sorcio in bocca, come si dice a Roma: un etto e mezzo di oro che aveva appena rubato dalla fabbrica in cui lavora (o lavorava, perchè difficilmente gli sarà consentito di rimetterci piede). L’ultimo di una serie di ammanchi che in tre anni hanno visto sparire in azienda qualcosa come 4 chili e mezzo di metallo prezioso. Che sia lui il colpevole i proprietari ovviamente lo sospettano, ma le prove esistono solo per l’ultimo furto.

Per il resto serviranno indagini ben più approfondite. Intanto, l’operaio infedele, dopo una notte in guardina, si è visto infliggere dal giudice Angela Avila gli arresti domiciliari. Lì aspetterà l’esito della direttissima di cui ieri mattina si è svolta solo la prima parte, quella della convalida, e la quasi inevitabile condanna, che potrebbe anche essere pesante, da tre a dieci anni secondo il codice: furto aggravato dal mezzo fraudolento e dal rapporto di prestazione d’opera.

Come nel caso del vigilante che nel luglio 2016 fece sparire 4 milioni d’oro. Altra storia, altro colpo. Succede tutto alla Tc-Or di Terontola venerdì mattina. Perparim Tabaku, 53 anni, albanese d’origine, dipendente con tanto di anzianità, è uno dei due fonditori che portano il metallo nel forno.Ma lui trova il modo di sottrarne un pacchetto e di gettarlo fuori dalla grata della fabbrica. Poi chiede un’ora di permesso e l’oro (una verga da 147 grammi di lega, 110 di metallo puro, valore 3.800 euro) va a nasconderlo in macchina.

A quel punto i proprietari, che già sono sul chi va là per le continue sparizioni d’oro di cui non riescono a darsi ragione, si insospettiscono e chiamano i carabinieri. La certezza che un bel pò di metallo sia sparito nel corso del processo di fonditura c’è, manca soltanto di individuare il responsabile. Gli uomini dell’Arma non hanno esitazioni e provvedono alla perquisizione nel parcheggio delle auto di entrambi gli addetti al forno. In quella di Tabaku spunta fuori il pacchetto galeotto.

Scattano subito le manette in flagrante, ieri mattina si va a processo per direttissima. L’albanese sceglie di avvalersi della facoltà di non rispondere e non spiega niente, il suo avvocato prova a limitare i danni: è solo appropriazione indebita, reato minore che avrebbe conseguenze assai meno pesanti. E’ la stessa strada, appunto, che aveva seguito a suo tempo il vigilante del furgone sparito a Civitella a margine dell’area di servizio di Badia al Pino. Ma non funziona neppure stavolta.

Il Pm Bernardo Albergotti insiste sulla contestazione del furto aggravato, il giudice Avila gli dà ragione. E non solo: per quanto Tabaku sia incensurato, Albergotti, su disposizione della procura, chiede una misura cautelare adeguata alla gravità dell’episodio. Il giudice gli dà ancora una volta ragione e decide per i domiciliari. Poi l’aggiornamento dell’udienza perchè l’avvocato chiede i termini a difesa, ossia il tempo per studiarsi le carte.

Sul caso specifico, tuttavia, non sembra che l’operaio abbia molte vie d’uscita. Ben più complessa la strada per arrivare a risolvere il giallo degli ammanchi da un chilo e mezzo l’anno negli ultimi tre, più di 100 mila euro. Viene naturale di pensare, e infatti i titolari dell’azienda lo pensano, che il protagonista dei furti sia sempre lo stesso. Ma servono le prove e quelle almeno per il momento non ci sono. I carabinieri, dunque, dovranno rimettersi sotto e tentare di scoprire se esiste un collegamento fra l’ultimo colpo e quelli precedenti. Un solo ladro, l’operaio infedele, o in fabbrica c’erano altri Polliccini che grano a grano facevano sparire l’oro delle lavorazioni?