Arezzo, 12 ottobre 2013 - Eccezionale intervento chirurgico al San Donato senza trasfusione di sangue su una paziente (testimone di Geova) con un grave tumore. A Milano avevano detto no.  Operazione eseguita a “cielo aperto”. Intanto crescono i chirurghi generali che usano il robot: adesso sono sei.

 Per rispettare i precetti del suo credo, avrebbe preferito morire piuttosto che tornare sotto i ferri in un istituto di primaria fama mondiale a Milano. Ma essendo lei, una donna di 54 anni, testimone di Geova aveva rifiutato l’autorizzazione ai chirurghi di eseguire durante l’intervento una trasfusione di sangue. D'altronde, a causa del peggioramento delle gravi condizioni in cui si trovava anche dopo due interventi chirurgici già eseguiti sempre in questo grande centro milanese, solo la chirurgia poteva darle qualche speranza.

Cionostante, utilizzando un suo diritto, la donna, in pieno accordo con la famiglia, ha detto “no” alla trasfusione e di conseguenza all’intervento proposto dall’istituto milanese. Una condizione apparentemente senza via d’uscita, che avrebbe condotto rapidamente ad un ulteriore peggioramento delle sue condizioni e a morte certa. La diagnosi era di “seconda recidiva anastomotica da eteroplasia del retto”. In altri termini, un tumore che interessava in modo aggressivo e invasivo la zona rettale e vaginale.

Ma la sua comunità, ricordando la proficua collaborazione con la Azienda sanitaria aretina che negli anni ha adottato buone pratiche e protocolli di cura rispettosi delle loro esigenze di culto, ha proposto a questa donna prima di prendere decisioni definitive e con esito nefasto, di rivolgersi alla nostra chirurgia.

Così ha fatto, e il suo caso è finito sul tavolo del capo dipartimento della chirurgia generale Andrea Rinnovati.

Con l’obbligo etico e morale di rispettare appieno i desiderata della paziente, ha compiuto una attenta valutazione, per poter responsabilmente dare una risposta adeguata a questa importante criticità. Alla fine la decisione è stata presa in senso positivo. “Ho valutato, assieme i miei collaboratori che procedendo chirurgicamente con tecniche particolarmente attente e conservative, con una chiusura ad hoc di ogni vaso, l’intervento si poteva fare.”

E così è stato.

La paziente, ricoverata al San Donato, dopo la consueta prassi diagnostica, è entrata in sala operatoria e Rinnovati, coadiuvato dai chirurghi Enrico Andolfi e Riccardo Malatesti, con un  qualificato e folto gruppo di assistenza, dagli anestesisti agli strumentisti, impiegando il doppio di tempo (quasi cinque ore) rispetto ad un intervento analogo con trasfusione, ha raggiunto l’obiettivo prefissato. “Alla fine l’intervento è riuscito senza alcuna necessità di trasfusione di sangue. La paziente – spiega ancora il direttore della Chirugia aretina -  una settimana dopo è uscita dall’ospedale e successivamente ha potuto riprendere le terapie chemioterapiche necessarie in questi casi”.

La famiglia della paziente e l’intera comunità dei testimoni di Geova esce da questa vicenda con grande soddisfazione e riconoscenza verso l’ospedale di Arezzo e la sua chirurgia.

“Ma per noi – ci tiene a dirlo Rinnovati – è motivo di grande orgoglio un risultato come questo: dapprima perché una persona è stata salvata rispettando il suo credo religioso e i suoi desideri, e poi anche per valorizzare ancora una volta le capacità professionali e nondimeno quelle umane, che esistono nel nostro sistema sanitario e quello specifico nella chirurgia di Arezzo”.

Quello eseguito sulla paziente, è stato un intervento a “cielo aperto”. Con tecniche e capacità avanzate, ma che rientrano in quella che generalmente si definisce “chirurgia tradizionale”. Che poi è quella anche con il maggior numero di casi ancora oggi. Quindi non solo robot.

“Si - sottolinea Rinnovati - non solo robot, ma anche robot. Arezzo ha avuto la fortuna e la capacità di gestire in  modo multidisciplinare questo eccellente strumento e su questa strada stiamo proseguendo. Al pari della media nazionale, anche nella nostra azienda gli interventi di chirurgia generale eseguiti con il robot rappresentano una percentuale minima sul totale. Ed è giusto che sia così, perché il robot va utilizzato in modo appropriato, nell’interesse del paziente che deve avere a sua disposizione la tipologia di intervento con tecniche consone alla propria patologia”.