Arezzo, 11 dicembre 2012 - AVEVANO CAPITO tutto quelli di Fort Knox, gli orafi che mandavano clandestinamente in Svizzera lingotti in cambio di denaro contante. Clandestini e contrabbandieri, d’accordo, ma la nuova frontiera dell’oro, quella legale intendiamo, è proprio l’export del metallo puro, sotto forma di lingotti, di verghe o quant’altro. Basta guardare ai dati del rapporto economia della Camera di Commercio, che completano le ultime cifre sull’esportazione di gioielli verso l’estero, che invece continua a perdere colpi. Nel 2011, dunque, il commercio con l’estero (in primo luogo la Svizzera) di metallo prezioso non lavorato è stato di 4,4 miliardi di euro solo ad Arezzo.

Che rappresenta il 56% dell’export provinciale, attestato a quota 7,7 miliardi. Vi pare ancora poco? Bene, aggiungeteci quest’altro numero: in un solo anno, il 2011 appunto, l’esportazione aretina di lingotti e affini è cresciuta del 98%, praticamente raddoppiata. Il che significa che quei 4,4 miliardi appena dodici mesi prima erano poco più di due. Se non è la moltiplicazione evangelica del pane e dei pesci, poco ci manca.

INSOMMA, SIAMO sempre più la capitale dell’oro, ma non solo e non tanto nel significato in cui l’abbiamo sempre inteso, cioè quello della lavorazione dei gioielli. Che basta da solo a fare di Arezzo il primo polo orafo nazionale (364 milioni di export nel primo trimestre del 2012, sia pure con un calo di quasi il 7 per cento) ma rappresenta ormai solo una quota relativamente modesta del business che ruota attorno al metallo giallo. Anche qui ci soccorrono le cifre: nel 2011 il commercio con l’estero dell’oreficeria è stato di 1 miliardo e 479 milioni. Bene, siamo grossomodo a poco più di un terzo dell’export di metallo puro. In percentuale il 19% contro il 56.

Sono dati sufficienti, forse, a illustrare la rivoluzione che è avvenuta negli ultimi due o tre anni nell’Eldorado chiamato Arezzo. Il sistema delle imprese della gioielleria (1200 aziende secondo l’ultimo censimento) perde clamorosamente terreno nel confronto con le poche consorelle che confezionano in lingotti e verghe.
Un ribaltone che coincide con i mutamenti strutturali dell’economia internazionale nel pieno della recessione. C’è una domanda fortissima di oro come bene rifugio. Ma è appunto richiesta di metallo puro, di lingotti, non più di gioielli, che ormai, come nota anche la Camera di Commercio, vengono percepiti come oggetti di moda e non più come un investimento di lungo periodo.

E’ UN TREND che quasi da solo traina la crescita dell’export aretino : ben il 43 per cento nel 2011. Con un saldo attivo della bilancia commerciale locale di 2 miliardi e 400 milioni (il 69 per cento in più dell’anno precedente). Incide l’aumento del prezzo dell’oro, ma pesa soprattutto il prepotente aumento del commercio internazionale di metallo puro. Monopolizzato o quasi da due grandi aziende: la Chimet di Sergio Squarcialupi, che lo ricava dai materiali riciclati, e la Italpreziosi di Ivana Ciabatti, che invece segue l’intero ciclo dell’oro, dalle miniere fino alla commercializzazione, in gran parte all’estero.

Per dare un’idea di quanto pesi l’intero comparto orafo sull’economia aretina, basta qualche altro numero: l’export complessivo di gioielli e lingotti vale il 75% del totale. Di 7 miliardi ne restano fuori 1 e 82 milioni, la gran parte derivante dai 670 milioni di esportazione della moda, che pure è in crescita esponenziale: +38% totale, +71% la pelletteria. Prada luccica, altro che se luccica, ma è l’argent, anzi l’oro, qui fait la guerre.