Arezzo, 14 novembre 2012 - Il triangolo sì, loro (al contrario di Renato Zero) lo avevano considerato: Compro Oro-Marcianise-Arezzo, 292 chili di oro e 637 di argento movimentati, un giro di affari di 12 milioni e 195 mila euro.

E’ un’altra delle operazioni clandestine che hanno portato al clamoroso blitz della Finanza di giovedì scorso, quella per la precisione che viene contestata al capo F del decreto di perquisizione firmato dal Pm Marco Dioni, il grande protagonista, insieme alle Fiamme Gialle, di quest’inchiesta che è andata a mettere il naso negli affari sporchi (o almeno presunti tali) consumati fra i Compro Oro dove la gente in difficoltà per la crisi vende i gioielli di casa e gli intermediari (moltissimi gli aretini) che fino a una settimana fa si incaricavano di trasformarli in verghe di metallo al nero, poi esportate in Svizzera con lauti guadagni.

I protagonisti nel caso di questo capo di imputazione sono i fratelli Borrelli e il loro dipendente Gianluca Roncone, tutti napoletani e tutti ora accusati di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, al commercio abusivo d’oro e alla frode fiscale. I loro interlocutori erano ancora una volta gli aretini, due in particolare, sempre secondo il Pm Dioni: Stefano Bianchi (anche lui indagato per associazione a delinquere) e Daniele Valeriani, accusato invece solo dei reati specifici, quelli non associativi.

Bene, i Borrelli (Gianfranco, Pietro e Agnese, tutti e tre fra i 30 e 40 anni) si incaricavano della raccolta dei gioielli, anzi del rottame d’oro, come viene definito in gergo tecnico, alla fonte, cioè presso i Compro Oro che lo acquistavano direttamente dalle famiglie. Il loro interfaccia erano i titolari dei negozi (nella situazione specifica tre commercianti del sud non indagati) più Francesco D’Avino, che invece lo è eccome, anche lui per associazione a delinquere. In totale 145 chili di oro e 188 di argento, il cui destino era quello della fusione e della trasformazione in verghe.

Una fase questa di cui si occupavano due dei fratelli Borrelli (Gianfranco e Pietro) insieme a D’Avino. Il polo orafo in cui avveniva l’operazione? Quello casertano di Marcianise. Da notare che il metallo giallo e quello bianco uscivano dalla lavorazione sì tramutati in verghe o in grani di «facile trasporto», come recita il capo di imputazione, ma anche privi di qualsiasi marchio di legge. Semilavorati, insomma, in tutto e per tutto clandestini, che impediva di risalire all’origine del materiale prezioso e anche di seguirne le tracce successive.
A questo punto entravano in ballo gli aretini, cui spettava la fase dell’intermediazione fra la lavorazione industriale e la destinazione finale in Svizzera.

Gli orafi coinvolti sono in questo caso Stefano Bianchi, con azienda a Bagnoro,, e Daniele Valeriani, titolare di una ditta di Civitella. Nel complesso, in questa sola operazione, sono sospettati di aver comprato 147 chili d’oro e quattro quintali e mezzo di argento. Come è facile notare, si tratta di quantità leggermente maggiori per l’oro e molto maggiori per l’argento di quelle acquistate e trasformate dai fratelli Borrelli e soci. Evidentemente i campani avevano delle riserve in proprio.

L'ultima fase era quella del passaggio a nord, cioè del lungo viaggio verso la Svizzera, attraverso i corrieri dei due canali aretini attivi nel corso dell’ultimo anno: uno che ha funzionato da marzo a luglio 2012, l’altro subentrato proprio in luglio, con referente l’imprenditore di Civitella ma con interessi anche a Marcianise Michele Ascione. Il sistema era sempre il solito, quello dei doppi fondi nelle auto e dello scambio oro-denaro con i corrieri di confine comaschi. E’ stato proprio quest’ultimo anello dell’organizzazione l’oggetto del blitz della finanza del 10 ottobre, quando Ascione e lo spallone Pier Giorgio Caldera vennero presi in flagrante nel piazzale della Villa Forte Knox di Badicorte. Lì il triangolo diventò un rettangolo, ma il quarto partecipante, le Fiamme Gialle, non era esattamente il più gradito.

Salvatore Mannino