Arezzo, 18 ottobre 2012 - Ha fatto il suo ultimo viaggio alla Verna. Non ci saliva da tanto tempo, lì dove una volta non era di casa: era la casa, la casa che si apre e ti accoglie. Perché questo è il senso del monastero e perché questo è il segreto della perfetta letizia francescana.

Sperava forse di rivedere la sua Verna prima di piegarsi alla malattia e alla vecchiaia. L'ha rincrociata dopo, quando il suo feretro è sbucato dietro la curva della Melosa, ha percorso l'acciottolato che precede il cancello del santuario, è approdato nel Quadrante che per dieci anni era stato il suo regno. E lì padre Alfonso Bucarelli è stato come riabbracciato dai suoi confratelli.

Lo aspettavano in tanti, per lui si sono aperte le porte della Basilica. Un secondo rito di saluto, dopo quello che in mattinata lo aveva visto protagonista a Fiesole, nella cerimonia presieduta dal ministro provinciale Paolo Fantaccini. A La Veran c'era il vicario provinciale Giulio Francesco Ruffato. E tutta una comunità. Chi non lo aveva conosciuto, almeno tra quelle pareti di roccia e di fede, e chi con lui aveva vissuto a lungo, come padre Eugenio Barelli.

Una cerimonia profonda, con tanta gente, salita quassù da Chiusi della Verna, la sua Chiusi, per 29 anni la sua parrocchia. Salita dal Casentino, la sua valle, essendo nato a Santa Mama. Salita da Cortona, dove era stato per anni guardiano nel Santuario di Santa Margherita. E da Arezzo, l'Arezzo di Saione che lega la sua fede proprio a lui.

Ti guardava sornione, con il sorriso di chi si incuriosisce di tutto e non si scandalizza di niente. Moderno fino all’estremo, ma con la leggerezza, tutta francescana, di chi sembrava fare per gioco quello che invece faceva sul serio. Come aprire la Messa alle chitarre elettriche: a Chiusi della Verna, non a New York, divertendosi per primo e per primo muovendosi sul filo tra la devozione e la festa.

O come affondare i sandali sulla neve di Mosca, per far vedere a Gorbaciov uno spettacolo sulla vita di San Francesco. E’ morto l'altra mattina, alle 7,30: padre Alfonso Bucarelli è morto a Careggi, l’ospedale di Firenze, lontano dalla sua ultima cella francescana, quella di Fiesole.

Ma la notizia in pochi minuti ha ripercorso a ritroso il suo viaggio tra i conventi e nella vita. Ottantanove anni, buona parte dei quali con il saio addosso. Lo stesso con il quale ti apriva alla Verna: uno sguardo e una gran risata, quella che ancora risuona nelle orecchie di chi lo ha conosciuto e ora lo ha perso. Ironico, divertente. «Ho portato un montanaro alla cattedrale di Orvieto — amava raccontare — si è tolto il cappello e l’ho visto rapito: ma ci pensa, mi disse, che fienile ci verrebbe qui dentro?». E giù una risata. Lui che legava con i montanari come con i vip. In tanti salivano alla Verna, negli anni della sua guida dal 1979 al 1988, apposta per lui. Tra gli altri Oscar Luigi Scalfaro, futuro capo dello stato: qualche giorno di preghiera e di dialogo, e poi ripartiva.

Lui come l’amico frate uniti anche da Cortona. Perché a Cortona Scalfaro si fermava spesso, ospite delle Clarisse, e perché a Cortona anche padre Alfonso avrebbe passato dieci anni, dal 1997 in poi: nel cuore di Cortona, il Santuario di Santa Margherita, guardiano anche lì per alcuni anni.  IN MEZZO, TRA la Verna e la terrazza sulla Valdichiana, Arezzo: l’Arezzo affollata e in trasformazione di Saione. Una delle parrochie più grandi, che ancora oggi lo ricorda con affetto. Da lì, dalla sua sacrestia, dalle risate unite al racconto della fede, erano nate esperienze, gruppi vivi ancora oggi. Migliaia di ragazzi, intere generazioni: era il frate di Saione a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Bastava dire così, non c’era nessuno che non capisse. Anche perché la comunicativa, e forse la comunicazione, erano il suo cavallo di battaglia. Fatta di pacche sulle spalle, strette di mano ma anche di curiosità e cultura. Perché di tutto si incuriosiva e di niente si scandalizzava. E si lasciava alle spalle tracce profonde.

A COMINCIARE da Chiusi: parroco per 29 anni, fino al 1979. Rifece la chiesa, l’asilo, l’auditorium: lì non se lo dimenticano neanche se volessero, e non vogliono visto che avevano fatto di tutto per non farlo andare via. Qualche chilometgro più in su, nell’archivio del convento, teneva come oro la frase di La Pira: «La Verna è il trampolino di lancio per le mie imprese di pace». E La Verna lo aspetta. Oggi, alle 15, per il funerale solenne in Basilica, dopo il congedo da Fiesole, celebrato in mattinata dal ministro provinciale Paolo Fantaccini. Poi l’ultimo viaggio: breve. A Santa Mama, dove da giovane qualche volta arrivava perfino a piedi. Lì dov’era nato. Lì dove sarà sepolto a fianco dei genitori. Dietro una foto dal sorriso un po’ sornione.

di Alberto Pierini