Arezzo, 25 settembre 2012 - LO SALVI CHI può. E insieme a lui salvi l’ultima sala in centro, o forse l’ultima spiagga del cinema di qualità. Sì, lo salvi chi può: ma faccia presto. Perché i venti che si levano intorno all’Eden sono gelati, parecchio gelati. Un grande freddo che rischia di ingoiarsi le due sale superstiti. «So anch’io di certe difficoltà — conferma dal Comune l’assessore Pasquale Macrì — e proprio questo ha orientato diverse scelte di quest’ultima estate». Una su tutte: dislocare verso il palcoscenico dell’Arena, anche quella l’ultima della città, una serie di spettacoli che riuscissero ad accendere i riflettori su quell’angolo di mondo.
 
Jazz, danza e dintorni. «Ma ci sono state serate con nomi di punta e 80 spettatori: che può fare un assessore?». Un assessore per di più, lo ricorda con amara ironia, senza portafoglio. «E del resto viste le risorse a mia disposizione il portafogli sarebbe un inutile orpello».

E non gli dispiace lanciare un allarme che arrivi alla città. «Perché poi alla fine sta anche agli aretini salvare certe realtà culturali». Come? Magari affollando le sale. O comunque sapendo che il rischio è grosso. Ed è meglio berciare oggi che piangere domani. Il quadro è presto fatto.  Una sala in centro che da sola assorbe gran parte delle pellicole d’essai, ovvero quelle che fatalmente sfuggono al circuito delle multisala. Che del resto lo ricordano fin dall’apertura: per prime fanno il tifo perché certe soluzioni alternative resistano, nell’interesse di tutti. Ma poi il mercato è implacabile.

E ORMAI assegna all’Uci oltre il 90% degli incassi complessivi dei cinema aretini. Restano le bricioole. E le briciole non bastano a stare a galla. Specie in un mercato complesso: il cinema ha cambiato pelle, il rinnovamento digitale comporta continui aggiornamenti. E spese. ESEMPIO? Sempre Macrì aveva progettato la trasformazione anche in cinema del Mecenate. «Ma non ci sono le risorse per dotarlo di quanto sarebbe necessario». Quindi remi in barca, sia pur a malincuore. «In compenso stiamo montando un maxischermo al Pietro Aretino. Ma l’Eden è un locale indispensabile: di lì passa il cinema vero e non vorrei che i ragazzi crescessero senza conoscerlo».
 
Eden che nel tempo ha scelto la politica dei prezzi ridotti: sei euro, che poi diventano cinque con la tessera del cineclub. E in accordo con Sentieri Selvaggi e il Comune, i gestori hanno battuto strade coraggiose: i cicli di film mai arrivati in città, le chicche di celluloide, sempre di qualità, spesso di successo. Ma poi tiri le somme e le somme non tornano.

La proprietà dell’Eden, non è un mistero, è di Carlo Mazzi, l’ultimo frutto di un albero che contava anche sul Corso e sul Supercinema. Un uomo forte dell’impresa italiana, secondo dentro Prada solo a Patrizio Bertelli e a Miuccia Prada. E che alla città resta legato proprio dall’Eden. Eden che ha scommesso all’interno su un nuovo luogo di divertimento, il bar-pagoda, il ristorante.

Certo la visibilità delle sale non è la stessa che avevano Corso o Supercinema. Ma al tempo stesso la sua programmazione è nettamente superiore, battendo solo raramente la pista dei film di cassetta. Dei grandi festival senza l’Eden non vedresti nulla se non le foto sui giornali. Mentre i vecchi cinema si dedicano al commercio, e il Corso, venduto al Gruppo Bucci, vede slittare lavori che da anni parevano imminenti. «Ripeto: è un cinema che va assolutamente salvato, ne va della proposta culturale cittadina». Senza portafoglio ma magari con qualche idea. Margini di manovra ancora ce ne sono ma il passaparola in questo campo è spietato. Cominci a parlare di chiusura e il giorno dopo scorrono i titoli di coda. Con i ringraziamenti di rito: e la parola fine a inchiodarti sulla poltrona.

di Alberto Pierini