Speravamo tutti che fosse finita, ci cullavamo nell’illusione che l’assedio al distretto orafo fosse ormai un ricordo da confinare nell’archivio degli incubi del passato. L’agguato di Castelluccio ci dice appunto che non è così, che i banditi protagonisti di un’emergenza criminale in corso ormai da quasi due anni non si sono affatto ritirati in pensione. Tutt’altro.

Valter Bondi, che della gestione della crisi è stato uno dei protagonisti fin dal principio, teme che siamo di fronte a un salto di qualità, che i malviventi abbiano deciso, per così dire, di alzare il tiro. Di passare alla violenza alle persone dopo aver usato finora solo quella sulle cose. Difficile dire se siamo di fronte a un cambiamento strutturale, a un appesantimento dell’assedio.

Certo è che in due anni siamo di fronte alla prima rapina. Finora le bande avevano sempre agito nel silenzio delle fabbriche deserte, stavolta non si sono fatte scrupolo di tendere una trappola all’imprenditore che era dentro. Era già successo in passato (ma bisogna tornare indietro negli anni), non però nel corso di questi quasi 24 mesi di assedio. E’ un dato del quale bisogna pur tener conto.

Se c’è una lezione da trarre, è comunque quella che va abbandonata una vecchia consuetudine italiana: muoversi solo nel momento del massimo allerta, salvo poi cullarsi sugli allori quando torna un sereno apparente. Colpisce perciò che per una serie di ritardi burocratici non siano stati ancora messi in atto gli accorgimenti tecnologici di cui si parla da mesi. Questo colpo ci riporta bruscamente alla realtà: le forze dell’ordine fanno già bene la loro parte, gli altri non pensino di guardare in faccia all’emergenza solo quando ce l’hanno davanti. E’ troppo facile domandarsi per chi suona la campana e sperare che suoni per gli altri.
Suona ancora per tutti noi.