Arezzo provincia dell'impero criminale di Gomorra? La provocazione l'aveva lanciata Roberto Saviano nel suo libro più famoso, a proposito delle infiltrazioni camorristiche in due province tipiche del centronord, Arezzo appunto e Modena. Ma di provocazione si trattava, di estremizzazione di una realtà, cioè, a un fine di denuncia, quello dei mille tentacoli del clan dei Casalesi.

La Nazione fu la prima a riprendere l'allarme di Saviano, già nei giorni dell'uscita di "Gomorra". E da allora questo giornale, sia nell'edizione cartacea che in quella on-line, non ha mai smesso di segnalare i casi concreti di infiltrazione camorristica e 'ndranghestica che si sono verificati nell'aretino, dalle misure di prevenzione chieste (e peraltro negate) nei confronti di sospetti affiliati ai casalesi ai cantieri sequestrati a Marciano di proprietà di altre famiglie mafiose come il clan Mallardo, fino all'ultima situazione, quella in cui un presunto boss della 'Ndrangheta si vide sequestrare le quote di una società che in passato aveva gestito un albergo di Anghiari.

Abbiamo raccontato tutto: come una provincia apparentemente tranquilla ma ancora ricca possa far gola ai clan mafiosi per le loro operazioni di lavaggio del denaro sporco o di investimenti puliti, e come un omicidio rimasto insoluto, quello dei fratelli Talarico (Terranuova, aprile 2006) abbia gettato ombre sinistre sui traffici criminali delle 'Ndrine calabresi e sulle complicità di cui potevano aver goduto in loco. Abbiamo spiegato allo sfinimento la sottile linea rossa lungo l'autostrada e la Direttissima, fra la Valdichiana e il Valdarno, in cui più si sente l'odore di affari della criminalità organizzata.

Proprio per questo possiamo dire, senza tema di sospetti minimizzatori, che certi allarmi degli ultimi giorni ci paiono esagerazioni fuori misura, un modo dilettantesco di trattare una questione maledettamente seria. Si sono prestati anche alcuni mass-media con titolo e pezzi fuori dalle righe. Arezzo non è affatto tra i tentacoli della Piovra e non si è certo trasformata in una propaggine di Gomorra.

Anche i politici si sono prestati a questo clima di allarmismo ingiustificato. Come quelli che hanno richiesto addirittura una commissione antimafia. Di grazia, che dovrebbero fare allora non diciamo nei territori di mafia, ma in quei comuni del centronord dove sono arrivati (vedi Ventimiglia e Bordighera) gli scioglimenti degli organi elettivi per infiltrazioni mafiose? Chiamare l'esercito? Invocare i caschi blu dell'Onu?

Calma e gesso. L'allarme Piovra c'è sempre, perchè i clan seguono l'odore dei soldi e la pista della distanza dalle aree più sorvegliate. Condizioni che ad Arezzo ci sono entrambe. Così come c'è uno scenario di forte presenza del nero, soprattutto nel settore orafo, che potenzialmente può diventare un richiamo per le mafie, che ai buoni affari non rinunciano mai e che di soldi sporchi da riciclare ne hanno a bizzeffe.

Ma da questo a dire che qui siamo in una provincia anche lontanamente mafiosa ci corre il mare. Mafia significa essenzialmente controllo del territorio, mafia significa permeabilità fra ambienti criminali e politica, mafia significa consenso diffuso per i clan, al di là dell'omaggio formale all'autorirà dello stato e forse neppure quello. C'è qualcuno che si senta di dire che anche una sola di queste condizioni esiste ad Arezzo?

Ma, si dice, questa provincia (classifica del Sole-24 Ore) è la terza d'Italia per denaro riciclato. Attenzione alle statistiche, specie a questa che viene presa con le molle anche a Palazzo di Giustizia. Il dato pare clamorosamente fuori misura, a meno che su di esso non abbiano pesato alcune grosse operazioni che con la mafia non hanno niente a che fare. Eutelia, ad esempio, era stata inizialmente rubricata come riciclaggio, le dimensioni erano tali che potevano far saltare i numeri. Vedremo al prossimo anno quale sarà il dato.

Insomma, ci sono tutti presupposti (ma ci sono praticamente in ogni provincia del centronord) per stare allerta contro le infiltrazioni mafiose, soprattutto quelle di carattere economico, che sono apparentemente pulite anche sporche, anche di sangue, all'origine. Ma parlare di una realtà prigioniera dei tentacoli della Piovra è mettere avanti uno scenario che per ora  (speriamo ancora a lungo) semplicemente non esiste. Non è solo pignoleria, è che quando si combatte un fenomeno bisogna farlo con le forze necessarie. Altrimenti si fa come il pugile che tira un cazzotto fuori bersaglio, si sbilancia e finisce al tappeto. Col risultato che l'avversario, nel caso i clan, continua i suoi affari impunemente e ridendo di chi invece della luna guarda il dito. Le mafie sono una cosa troppo seria per lasciarle all'antimafia di maniera.