Arezzo, 3 novembre 2011 - Cemento di qualità modesta e difetti di progettazione: la falla nella diga di Montedoglio, che il 28 dicembre 2010 scatenò una notte di paura, non si è aperta per caso. Non, almeno, secondo i tecnici incaricati della perizia affidata dalla procura, i quali arrivano a una conclusione implicita ma drastica: per riportare l'invaso alla piena efficienza la parte in cemento della diga è tutta da rifare. Come a dire che bisogna demolire gli attuali conci e sostituirli con elementi in cemento nuovi di zecca, oltretutto di qualità migliore. Diego Zurli, direttore dell'ente Umbro-Toscano che gestisce l'impianto, non si tira indietro dinanzi alla sfida: "Abbiamo già ricevuto le carte e siamo pronti ad agire. In linea teorica bastano sei mesi e due milioni di euro. Ma deve pagare chi ha costruito, non la parte pubblica".

I gravi difetti della diga sono la sostanza della conferenza stampa convocata ieri mattina a Palazzo di giustizia, nel corso della quale il procuratore capo Carlo Maria Scipio e il Pm Roberto Rossi (cointestatari del fascicolo per disastro colposo) hanno illustrato il risultato del lavoro svolto dai tecnici, alcuni degli ingegneri più prestigiosi d'Italia più un geologo di fama come l'aretino Enzo Boschi.

E' stato appunto quest'ultimo a escludere che sul cedimento abbiano inciso eventi sismici, recenti o del passato. I colleghi hanno poi demolito i criteri con cui fu realizzata la parte in cemento armato della diga (fra gli anni '70 e '80), partendo dall'analisi dei conci attraverso i quali si è aperta la falla. In sostanza, il ferro dei tondini e la calce non stringevano a sufficienza, con il risultato che l'acqua si è progressivamente infiltrata nel cemento fino a provocarno lo sfaldamento, seguito dal crollo del 28 dicembre. Ma, e qui arrivano le conclusioni più pesanti, non è questione che si possa limitare ai soli conci danneggiati. Presumibilmente anche gli altri soffrono degli stessi difetti. Il che significa, per tradurre esplicitamente quello che i tecnici dicono in modo più sfumato, che per riportare l'invaso alla massima portata, occorrerà probabilmente rifare  tutta la parte in cemento armato. Ci vorranno anni e un lavoro certosino di ristrutturazione dell'impianto che invece regge benissimo nella parte del terrapieno, perfettamente capace di sopportare la portata dell'acqua.

Intanto, la procura si appresta a dissequestrare l'impianto, ma questo non significa affatto che si possa tornare ai livelli che la diga aveva prima del disastro. La diga attualmente contiene metà della portata, circa 80 mila metri cubi, quella totale sarebbe di 150 mila. Le carte della perizia saranno trasmesse alle autorità competenti, cioè l'ente umbro-toscano appena costituito, per i provvedimenti che si riterrà opportuno di prendere, cioè presumibilmente la ristrutturazione della parte in cemento armato. La procura, invece, è pronta ad acquisire gli atti della commissione d'inchiesta ministeriale, che ha lavorato in parallelo con la perizia dei pubblici ministeri.

Già, perchè ora comincia la seconda parte dell'inchiesta da parte della procura, quella in cui bisogna capire se le manchevolezze riscontrate sono riferibili a persone fisiche o giuridiche, cioè a singolo progettisti o alle aziende che hanno lavorato alla costruzione della diga. Lavoro difficile, se non altro perchè sono passati trent'anni, a volte quaranta, dai progetti esecutivi prima e dalla messa in opera poi. Intanto il fascicolo resta a carico di ignoti.

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