Arezzo, 15 ottobre 2011 -  L'associazione Testa o Croce ci invia un commosso ricordo di don Angelo Chiasserini. 
"Caro don Angelo,
tra le poche cose che non c’hai mai insegnato c’è certamente il sentimentalismo. È forse per questo che oggi ci troviamo assolutamente impreparati a scrivere questa lettera, con la quale vorremmo salutarti. Nessuno, del resto, si sarebbe mai atteso di doverla stendere da un giorno all’altro. Permettici, insomma, qualche concessione all’improvvisazione e, soprattutto, ai sentimenti: non se ne può fare a meno quando ci si trova a salutare un grande uomo.
Grande uomo. Già, è questo ciò che sei stato. Adesso che non sei più in mezzo a noi siamo finalmente liberi di dirtelo, senza correre il rischio di sentirci rispondere qualcosa del tipo “la bilancia lo conferma”. Sì, sei stato davvero un grande uomo.

Piombasti in Piazza Giotto nel 1990. Non ricordo come la parrocchia ti accolse, ma dubito che noi, allora giovanissimi, lo si sia fatto con particolare entusiasmo: in fin dei conti venivi pur sempre dal “Borgo” (un peccato che non ti abbiamo mai perdonato).
I ricordi di quei primi anni cominciano a sbiadire, ma restano le immagini delle estati trascorse assieme, ai campi degli scout o ai ritiri del New Project, quel gruppo di giovani che, all’indomani della cresima, cominciasti a raccogliere attorno a te. Ci incontravamo un paio di volte alla settimana. Avevamo chi 13, chi 14 o 15 anni.

Niente di particolarmente ricercato: chiacchiere in compagnia, qualche passeggiata, un film, una pizza, una visita agli anziani, qualche occhiata non poi così casta alle ragazzine (un vizio che ci hai sempre perdonato). Eppure fu proprio in quelle stanze polverose della chiesa che, allora, dal tuo accendino partì una piccola fiamma.
La comunità – la “tua” comunità – crebbe, di numero e di età: occorreva distinguere i vari gruppi, distribuirsi incarichi e responsabilità. Ci ritrovammo quella tua fiammellina tra le mani, col difficile compito di passarla ai ragazzi più giovani.

A loro volta, quei ragazzi l’avrebbero trasmessa ad altri. Forse non fummo sempre educatori all’altezza del fuoco che avevi acceso, ma le fiammelline, piano piano, grazie al tuo solito accendino, cominciarono a propagarsi.
Vennero poi i venti anni e gli studi universitari. Molti di quei ragazzi con cui avevamo condiviso le estati liceali, gli amici protagonisti di quei ritiri estivi, si erano ormai allontanati dal “dietro chiesa”, ognuno attratto dalle proprie scelte, spesso lontane anni luce da quelle su cui li avevi invitati a scommettere. Poco male: era il segno di ragazzi che facevano tesoro della libertà che gli avevi insegnato. Sì, esatto: era il segno di ragazzi liberi, che nessuno aveva imprigionato in nessun dogma. In questi giorni di dolore sono tornati tutti e, se guardi bene, ora che puoi, ti accorgerai che da qualche parte quella fiammella ancora brucia.

Nel pieno dei nostri vent’anni, per chi rimase venne anche la consapevolezza della fede che ci stavi trasmettendo. Le riunioni presero a scavare sempre più in profondità nelle nostre convinzioni, mentre nuovi dubbi mettevano da parte le nostre vecchie certezze. Ci vedevamo una volta sola a settimana, ma finivamo per far sempre nottata a discutere, spesso negli scalini della chiesa, dove bastava una parola a riaccendere una discussione che su, in sede, eravamo faticosamente riusciti a concludere.

Non era più un confronto fra un prete e dei ragazzini un po’ casinisti da tenere a bada (talvolta con quei sani “nocchini” di cui nel tempo avremmo scoperto l’impareggiabile valore educativo), ma fra un prete e dei ragazzi che avevano imparato a stare in piedi sulle proprie gambe. Fu una stagione tutta nuova e ugualmente capace di spingerci in alto, quella che vide nascere l’associazione Testa e croce. Fu allora che il New Project incontrò altri ragazzi: scout, volontari della Migrantes, anime che avevi raccolto; insomma: i “tuoi” ragazzi, cresciuti nelle varie realtà parrocchiali, ormai appartenenti a più generazioni, ma tutti già definitivamente “adulti”.

Eri entusiasta di questo nome: del resto, metter d’accordo ragione e fede – testa, appunto, e croce – era sempre stato, assieme all’impegno sul fronte della carità, ciò che ti eri sforzato di insegnarci. “Dar ragione della propria fede”: ce lo siamo ripetuti tante volte, assaporando quella libertà che si respira scommettendo su Gesù Cristo. Le nostre iniziative (dal Viva Maria alla moratoria dell’aborto, sino al divertentissimo “scandalo” dato da quei profumatissimi euro ottenuti dalla massoneria per finanziare la mensa), lo ricordi, non mancarono di far discutere; stessa sorte, ne siamo certi, sarebbe toccata a quei progetti che stavamo immaginando per il futuro, se la morte non ti avesse strappato da questa vita.

La gioventù, adesso, sta finendo anche per noi, messa da parte dagli impegni di lavoro, a cui si sono aggiunti, per alcuni, una famiglia e dei figli: a loro cercheremo di trasmettere quella stessa fede con cui hai incendiato il nostro spirito.
Caro don, abbiamo sempre giocato a fare i duri; la tua morte, alla fine, ci ha colto senza mai averti detto nessuno dei grazie che ti dobbiamo. Sono dei grazie – ne siamo certi – che in tanti oggi, con noi, vorrebbero indirizzarti.
Grazie, dunque, per aver custodito e reso unica la nostra preziosa gioventù.

Grazie per averci prestato, per anni, quegli scalini, salvezza di molti.
Grazie per averci riempito la testa di punti interrogativi, proponendoci le tue risposte, ma lasciandoci sempre liberi di commettere i nostri errori; è così che abbiamo scoperto il significato di quella parola, “libertà”, che è ora l’ingrediente indispensabile della nostra esistenza. Grazie di ogni litigio che abbiamo fatto.
Grazie per averci insegnato a respingere ogni soffocante moralismo, a non pretendere la perfezione da nessuno (a partire dai noi stessi), ad amare l’irrinunciabile dimensione popolare della nostra fede.
Grazie per la fiducia che c’hai sempre concesso.
Grazie per averci costretto a non prenderci mai troppo sul serio.
Grazie per averci fatto amare la Chiesa Cattolica e i suoi sacerdoti, soprattutto quelli più fragili.
Grazie per aver sempre ricordato che non v’è nulla di più anticonformista che provare ogni giorno a farsi conformi a Cristo.
Grazie per averci insegnato a stare “nel mondo”, per averci armato contro le sue storture, per averci ricordato, fino all’ultimo, che i cristiani sono quelli del “sì sì, no no”, quelli che fanno discutere e arrabbiare, quelli scomodi, che scottano, mai i tiepidi.

Grazie per averci sempre raccomandato di tener l’operato della mano destra nascosto agli occhi della mano sinistra, per averci sempre tenuto lontani tanto dall’indifferenza, quanto da ogni soffocante buonismo. Grazie per averci ricordato che si va
E grazie, soprattutto, per averci fatto scoprire una storia, quella di Gesù Cristo: la storia – e nient’altro che la storia – di un uomo eccezionale, con un finale talmente sconvolgente da rovesciare la vita di quelli che non possono fare a meno di crederlo vero. Grazie per averci raccontato il “fatto”, come lo chiamavi tu, totalmente scandaloso, del nostro Dio che si fa uomo per incontrarci duemila anni fa come oggi. Un incontro che ci hai fatto vivere e assaporare ogni volta che ci guardavi negli occhi.

Caro don, non sappiamo ancora come ti ricorderemo. Del resto, anche se qui tutti non fanno che ripeterlo, non è vero che hai amato i poveri, tu che per anni li hai nutriti e vestiti. Non è vero che hai amato lo studio e la cultura, tu che te ne sei andato in una libreria. E non è vero nemmeno che hai amato i ragazzi, tu che li hai accompagnati nella loro crescita. No, non hai amato né i giovani, né la cultura, né i poveri: tu hai amato Cristo ed è lui che ti ha convinto ad amare tutto il resto. Ecco: “don Angelo, quello che ha amato Gesù Cristo”. Vogliamo ricordarti così, senza altre etichette.

La nostra traballante barchetta ha perso il suo grande capitano, quello che l’ha sempre spinta nella medesima rotta: controcorrente. È la direzione di cui ci siamo innamorati ed è la direzione che, stanne pur certo, continueremo testardamente a inseguire. Forse è proprio per questo che in queste sere, dopo averti ricordato nelle preghiere, mentre in molti piangevano, noi non abbiamo fatto a meno di tornare, come ogni domenica, a ridere e scherzare nel fumo della tua sacrestia.

I ragazzi dell’Associazione Testa e Croce