Arezzo, 15 settembre 2011 - Chi, come gli aretini, si è scottata le mani con l’università, deve avere paura non solo dell’acqua calda ma anche di quella fredda. Al netto dunque delle occasioni perse in passato (e chi ha a cuore questa città rimpiangerà in eterno la mancata valorizzazione dell’antica facoltà voluta da Fanfani come testa di ponte di un ateneo mai nato), sarà bene ponderare attentamente gli scenari che si aprono adesso. Le lezioni a distanza, inomma, l’università telematica come si chiama adesso. Inutile nascondere che a prima vista qualche perplessità rimane (alcune le ha già illustrate il nostro Attilio Brilli) ma se non si tira indietro neppure un cattedratico dell’università tradizionale come il rettore Riccaboni, non si vede perchè non si debba andare ad approfondire il tema. Senza facili entusiasmi ma anche senza chiusure a priori.

Il polo tecnologico di cui parla nell’intervista a fianco il professor Luigi Biggeri (aretino illustre, ex presidente dell’Istat e mente del progetto) è un’ipotesi affascinante, rispedirla al mittente senza neppure averla esaminata potrebbe fare lo stesso effetto di quando una classe politica miope (chiuse la porta in faccia al Magistero. Adelante con juicio, per dirla coi Promessi Sposi. Ma avanti.

C’è da capire innanzitutto come un’università a distanza possa sposarsi con l’esistenza di tre atenei nell’arco di 60 km (Firenze, Siena e Perugia) capaci di attrarre le famiglie e gli studenti con la loro offerta tradizionale. C’è poi la questione del ruolo che l’università, quando è seria, svolge nella selezione e nella formazione della classe dirigente locale. Professori, ricercatori studiosi sono un potente stimolo al discorso pubblico. Come sarebbe possibile se fosseri lontani? E’ un altro elemento di dibattito.