Arezzo, 27 luglio 2011 - Si è salvata. Di un pelo ma si è salvata ed eccoci qui tutti insieme ad innalzare peana all’università, della cui importanza ci accorgiamo solo ogni volta che rischiamo di perderla. Il che non deve impedirci di guardare in faccia alla realtà: quella grazie alla quale la facoltà, pardon il dipartimento, del Pionta ha evitato una prematura dipartita, è una toppa. Meglio, molto meglio del buco che avevano aperto i tredici professori in fuga verso Siena, ma pur sempre una toppa. Converrà dunque adesso, a bocce ferme, pensare a un abito universitario che non sia un vestito di Arlecchino, che non sia esposto a ogni spiffero: dai corsi di laurea tagliati alla discussione sull’esistenza stessa della facoltà (o come si chiama ora) aretina. 

La prima condizione di questa ennesima ripartenza è che la città con la sua provincia si rendano finalmente conto di quanto significhi una presenza universitaria forte, non affidata a verifiche semestrali che ogni volta ci lasciano col fiatone. Università, nel senso migliore del termine, vuol dire tenere un piede nell’alta cultura di cui l’Accademia è per definizione custode, ma vuol dire soprattutto il complemento indispensabile di un capoluogo che non voglia essere mera provincia, che aspiri a tenere insieme una classe dirigente di spessore e un livello di lavoro non solamente esecutivo. Per troppo tempo Arezzo non l’ha capito, per troppo tempo ha vissuto il Pionta, e prima la Godiola, come un’escrescenza di cui si poteva tranquillamente fare a meno. Speriamo almeno che la lezione sia servita.


Purtroppo, anche se adesso la consapevolezza fosse arrivata, è più tardi di quanto crediamo. Sono tempi duri per l’università, gli atenei hanno poco da spendere e quel poco lo investono per ovvi motivi nelle loro sedi principali. Non parliamo poi di Siena, alle prese con la crisi finanziaria devastante di cui tutti sappiamo. Insomma dalla casa madre è inutile aspettarsi miracoli, è già tanto che la bandiera non sia stata ammainata ed è significativo che il progetto di un corso di laurea misto lingue-economia, si sia arenato sull’indisponibilità a trovare professori di economia disposti a trasferirsi al Pionta.


Occorre allora guardarsi intorno e non può farlo l’ex facoltà di lettere, che è naturalmente una struttura dipendente da Siena, ma il polo universitario o ciò che ne erediterà le funzioni, ammesso che esista davvero nelle istituzioni e nel mondo economico l’intenzione di tenere alta la presenza aretina nell’ambito accademico e che le difficoltà giuridiche delle ultime ore non siano un modo elegante per sfilarsi. L’ateneo senese resta la pietra miliare con cui confrontarsi ma non può più essere l’unica. Se Perugia, Firenze, la Luiss o chissà chi sono disposte a investire su Arezzo (difficile di questi tempi) è necessario offrire loro le migliori condizioni possibili, che siano corsi di laurea ordinari o master. Il futuro insomma potrebbe essere un’università a geometria variabile: un occhio a Siena, il secondo altrove. A meno di non rassegnarsi a essere per sempre provincia. Di quelle tagliate fuori dalla formazione di alto livello. Di quelle condannate a dipendere dagli altri.