Arezzo, 20 luglio 2011 - E’ un altro processo da ergastolo. A meno che gli avvocati difensori non scelgano di disinnescare la mina ricorrendo alla rete di protezione del rito abbreviato. Fatto sta che per ora il Pm Elio Amato ha chiesto il rinvio a giudizio dei due albanesi, uno in galera e l’altro ancora latitante, accusati di aver ucciso a Olmo, la notte fra il 19 e il 20 ottobre, il romeno Aron Catalin. A coltellate, ma non senza che volasse qualche bastonata e rombassero anche le pistole. L’accusa per entrambi è omicidio volontario aggravato. Il che signica appunto un orizzonte di pena nel quale può rientrare anche il carcere a vita. Come già nelle richieste di pena per la sparatoria dell’Orciolaia, l’altra notte di sangue che ha animato negli ultimi anni la cronaca aretina, anche se poi la corte d’assise i cinque ergastoli che voleva il Pm Ersilia Spena non li ha inflitti.

Allora come adesso dipende appunto dalle aggravanti. Se vengono riconosciute la strada degli imputati è tutta in salita, altrimenti le pene si fanno un po’ meno severe. Comunque sia, la prossima mossa sulla sorte di Arber Hoxhaj, 28 anni, preso in Ungheria dopo giorni di fuga, ed Erion Canaliaj, pure lui ventenne, tutt’ora uccel di bosco perché dopo la notte nel piazzale del Trocadero nessuno l’ha più visto, è nelle mani del Gip, che dovrà fissare la data dell’udienza preliminare. Poi toccherà agli avvocati difensori: Francesco Molino per Hoxhaj e Tiberio Baroni per Canaliaj, che dovranno decidere se affrontare la corte d’assise, a rischio della massima pena, o andare al giudizio allo stato degli atti, il rito abbreviato dinanzi al Gup, dove, male che vada, non si dovrebbe andare oltre i trent’anni. Almeno Molino sembra decisamente orientato verso questa seconda ipotesi.

Il processo, comunque si faccia, sarà l’ultimo atto di una delle notti più violente della recente storia criminale aretina. Due bande, una di romeni e l’altra di albanesi, si affrontarono per il controllo della piazzola di Ripa di Olmo, poco lontana dal luogo del delitto, in cui si prostituivano alcune lucciole dell’est, sopratuttto romene. Hoxhay, il personaggio di maggiore spessore, pretendeva che le ragazze gli pagassero la tangente e già la sera prima si era presentato con la pistola sparando in aria. La sera dopo ad attenderlo, insieme a Canaliaj che gli faceva da spalla, c’erano Catalin, Dan Niculita, George Garagea e i due Mihai, Petrica e Ghita. La lite degenerò subito in violenza. Catalin scappò inseguito dagli albanesi che prima colpirono lui e poi ferirono anche, sempre col coltello, Niculita (qui il Pm contesta il tentato omicidio).

Ma quando gli avventori del vicino bar accorsero richiamati dal chiasso, c’era solo Catalin morente. Niculita era scappato con l’auto di un amico. Andò a crollare in una pozza di sangue davanti a casa sua, in zona Saione. Spariti anche gli albanesi, cui la squadra mobile risalì con un non facile lavoro di intelligence. Poi la caccia internazionale a Hoxhaj, in fuga per mezza Europa, dalla Grecia alla Repubblica Ceca e infine all’Ungheria. Lo presero vicino al confine. Ora, con l’amico ancora latitante, è lui (quasi sicuramente l’accoltellatore) quello che rischia di più.