Fino al secondo dopoguerra, Piazza Sant’Agostino appariva ancora caratterizzata, come sostengono le cronache, da “un’aria familiare e laboriosa, estranea ai turisti”.  Come dire che si trattava di una piazza riservata solo ed esclusivamente agli aretini, i quali infatti vi sciacquavano i panni nei prospicienti lavatoi pubblici, vi abbeveravano i cavalli all’omonima fontana, vi ripulivano le carrozze e vi tenevano fiere e mercati.

Una piazza domestica, insomma che, accompagnandosi a via Garibaldi con la sua forma ad imbuto, andava, così come va tutt’oggi, a restringersi nell’imminenza dell’incrocio con il Corso. Una piazza in pendenza inoltre, estremo declivio della città collinare dominato dalla fulva arenaria della chiesa e del suo campanile.

Il forestiere di un tempo che avesse fatto il proprio ingresso nella piazza avrebbe fatto la figura screanzata di chi, accolto in una comune dimora, avesse chiesto di vedere prima di tutto la cucina per fiutarne gli odori e immaginarvi i sapori.  I curiosi a dire il vero non sono mancati, se nel secondo Ottocento lo scultore accademico Henry Chapu ha lasciato al Louvre un bel disegno della piazza con il prospetto della chiesa e con il campanile dalla guglia mozza (tale era allora), e se nel primo Novecento qualche signora inglese è andata a grufolare nelle vie circostanti, giù fino a via delle Mura, scoprendo nella zona l’anima pittoresca della città.

Osservando le foto della piazza degli ultimi due secoli, ci sentiamo noi stessi visitatori importuni, intrusi di un tempo che non è più il nostro tempo, di un luogo che non ci appartiene.  La nostra ( si fa per dire) Piazza Sant’Agostino è tutt’altra cosa. Essa è stata sottoposta ad un drastico rifacimento che ha il merito impagabile di aver rimosso il lebbroso manto d’asfalto. La nuova lastricatura tuttavia omogeneizza il tutto al grigio della pietra serena, un grigio che annulla il disporsi su piani diversi della piazza e che fa del piano inclinato a forma triangolare un’estensione indistinta, affocata d’estate, infida d’inverno.
 
Mentre è apprezzabile la lama d’acqua che ricorda per antifrasi cavallari e vetturini, lascia stupiti l’abbattimento degli alberi la cui assenza accentua l’uniformità del vasto e vacuo terrazzo dinanzi alla chiesa. La piazza ha perso quasi tutte le sue funzioni storiche e questo ha reso più evidenti ed inani gli spazi, di conseguenza perché non ricorrere ad una più solerte inventiva nel reinterpretarli? Per come è stata realizzata, Piazza Sant’Agostino richiede la presenza del mercato perché venga riempita e resa funzionale una così uniforme disponibilità spaziale, altrimenti fruita come transito e non come stasi. Davanti agli ex lavatoi, recuperati in maniera elegante, è stata collocata una specie di Venere di Milo di cui è difficile capire la congruità con il luogo, dal momento che la chiesa di Sant’Agostino non ha nulla a che fare con il Partenone.